Beirut/Dispacci #6


Così siamo saliti su un bus in direzione sud. Una pletora di soldati dal sapor mediorientale e noi due biondicci. Abbiamo ottenuto un permesso dai militari per superare il checkpoint a metà strada e poi via, nelle mani di un aspirante Schumacher che non ha esitato a deviare su un’autostrada chiusa, con tanto di slalom delle betoniere intente a stendere il cemento, pur di evitare la coda.
E il respiro si è fatto più leggero man mano che le case diradavano e il mare diventava più largo e i colori più ocra e le nuvole più basse, con le casette bianche e i bananeti e piccole piazze brulicanti di uomini e merci a costruire un paesaggio inaspettatamente accogliente.
Venti chilometri dal confine con Israele. Soldati stropicciati ai bordi delle strade, bandiere dell’Unifil, gigatografie di Fadlallah, mezzi corazzati, simboli di Hezbollah, filo spinato, spiaggia, spiaggia, spiaggia, palme, palme, palme.
Accogliente.
Una colonia di bambini panzetti e di bimbe in burkini in un ristorante a cinquanta metri dall’ultimo checkpoint, con un giardino di cemento e piscine d’acqua bassa sormontate da enormi Paperino a mo’ di scivoli – paperini con cappellini verde in onore della milizia, ovviamente; un pranzo lucculiano per due spicci; il profilo della costa da seguire con lo sguardo chiedendosi cosa può mai cambiare, laggiù.
E per scoprirlo abbiamo passato il checkpoint diretti verso un posto di cui tanto ci avevano parlato, piccola oasi naturalistica in mezzo all’inferno del fuoco incrociato. Siamo saliti sulla Mercedes scarnificata di un tizio che ci ha offerto un passaggio; era sbronzo marcio, ma ce ne siamo accorti solo quando ha iniziato a tirare bottiglie di birra fuori dal finestrino e a fare lo slalom tra i tank dell’Unifil, strombazzando e fermandosi e gridando saluti scomposti. Per un secondo ho pensato Siamo due pirla, e più o meno deve essere stato quando si è infilato su una collinetta fuori dalla strada principale e di colpo mi è tornato alla mente il riquadro della lonely planet in cui parlava dei campi infestati da mine e dell’obbligo di non abbandonare mai la strada segnata. Ma era sbronzo, non stupido o cattivo; voleva che andassimo a casa sua a bere con lui. A una manciata di chilometri dal confine Edo ha alzato la voce in modo risoluto, il tipo ha girato la macchina e ci ha portato al nostro appuntamento: una coppia inconsueta che vive immersa in un fazzoletto di natura e sabbia, anche mentre Israele lancia razzi dalla spiaggia ed Hezbollah risponde con mezzi di fortuna. Ci hanno aperto le porte di casa, offerto birre, dato le chiavi del cancello per un angolo di mare in cui gli uomini non hanno mai visto una donna in bikini – don’t you dare swim naked, they’d kill you.
Autostop, ancora, in cerca di un albergo. Ci ha tirato su il proprietario di un albergo. Caro, troppo per noi. Uno dei suoi ragazzi ci ha accompagnato in un vicolino stretto, dove una signora ci ha affittato una camera della sua casa spartana per venti dollari. Cena in un baracchino sugli scogli; orate, verdura, hummus di melanzane, birra, limonata fresca: sette euro cada.
In cerca di storie, oggi ne abbiamo trovata una nel più antico fabbricante di narghilé di Tiro, un posto da ambientazione cinematografica; qualche ora dopo la passeggiata in un cimitero ha portato il ricordo ai bambini martirizzati dall’Iran negli anni della guerra con l’Iraq: utilizzati per camminare sui campi minati, così da far saltare le mine e poterci mandare i carri armati. Due milioni di morti. Edoardo ha visto il cimitero, lo ha anche fotografato; scrivetegli così vi fa vedere le foto, inedite.

Poi pranzo agli stabilimenti per famiglie, un succedersi di sgangherate casette di legno allineate sulla spiaggia, rigorosamente numerate alla maniera romagnola: anche i pasti ricordano l’abbondanza romagnola. Spiaggiata sul bagnasciuga, ho seguito con lo sguardo la linea costiera e pensato che se tutto va bene e riusciamo a fare quello che vogliamo fare, io in Israele ci voglio andare.

Di ritorno a Beirut dopo tre ore di minibus, scossoni e soste ogni quindici metri circa, Nicola ci ha accolti con una pasta allo scoglio resuscita morti. I miei capelli, invece, li resusciterà forse – forse – solo il parrucchiere. Sembro uscita da un video delle bananarama.

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