Rio/Dispacci #8


Viaggio alla Madureira, quella Rio de Janiero che i turisti non vedranno mai, e magari nemmeno gli abitanti che non vengono dal morro, la collina.
A Santa Teresa, il quartiere nobile dove stiamo, la temperatura era alta ma sopportabile. Un’ora e un po’ di mezzi pubblici dopo, sbarcate nella terra di nessuno che avrebbe potuto essere appena fuori Bangkok o Karachi, a dimostrazione che la povertà ha la stessa faccia a tutte le latitudini, il cemento esalava un calore fetido e umido, che nell’arco di mezzo’ora mi aveva arricciato i capelli e tinto di grigio la maglietta.
Con Laura, la nostra amica argentina, abbiamo girato un po’ tra i negozi e i grandi magazzini in cui si riforniscono gli ambulanti della spiaggia, in cerca di qualche colpaccio e di un po’ di autenticità. Sul primo non scommetterei, ma la seconda è garantita nel biglietto della metro.
Tre ore dopo abbiamo deciso di rientrare in centro con il trenino dei pendolari, arrugginito e carico di una umanità che per la prima volta mi ha spaventato da quando sono arrivata in Brasile. Mi guardavo intorno, tra ragazzi sdraiati sulle panche arrugginite e venditori carichi di scatole e sacchi destinati chissà dove, stringendo la borsa un po’ più forte e sudando un po’ più del dovuto. Poi, dopo un paio di fermate, sono saliti dei ragazzini: il più piccolo avrà avuto 12 anni, la più grande 17. Gridavano e sbattevano l’uno contro l’altro, picchiavano contro le porte e i sedili, trascinando i piedi scalzi, vestiti troppo poco. Ho capito senza guardarli troppo, ché non era proprio il caso, che sono questi i famosi ragazzini distrutti dal crack, persi, totalmente fuori controllo, capaci di qualsiasi cosa per 100 reais o un telefonino. Mi sforzavo di concentrarmi su altro, spaventata come mai mi era successo qui, e di colpo gli altri seduti intorno a me mi sono sembrati piccoli borghesi di periferia che andavano al lavoro: se fosse stato un film, le casse piene di cianfrusaglie da vendere in spiaggia si sarebbero trasformate in valigette 24 ore, e le facce segnate dalla vita in sguardi assenti di lavoratori diligenti.
Anche la scala della miseria insomma sa essere logaritmica. E inizio a capire perché le favelas cittadine possono essere un posto ambito dove stare, rispetto alla terra di nessuno della periferia nord.

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