Pechino Dispacci #6


Non ricordo quando Hu Jintao o Deng Xiaoping annunciarono l’obiettivo piena occupazione, ma capisco benissimo come la Cina pensa di ottenerlo.
Per esempio mettendo una signora sugli autobus – alcuni perfettamente automatizzati, con tanto di schermo per indicare le fermate – a guardare la gente che versa la banconota da uno yuan (circa 20 centesimi) del prezzo della corsa in un’apposita urna. La signora dovrebbe in teoria anche staccare i relativi biglietti, che invece restano per lo più sul ripiano di fronte a lei (il che mi induce a pensare che a fine servizio una parte delle banconote finiscano nelle sue tasche, arrotondando lo stipendio che immagino magro).
Oppure ci sono i signori che raccolgono i mozziconi dalla strada uno a uno, mentre poco oltre i colleghi girano su macchinette analoghe alle nostre per lavare a terra, e poco oltre ancora altri colleghi svuotano i bidoni e passano con le spazzole (curiosità: il manto stradale è limpido, il marciapiede non altrettanto).
Ci sono anche le signore rubiconde che alla fine della giornata (alle 17 si ammainano le bandiere in piazza Tien An Men fino all’indomani) smistano con entusiasmo davvero di regime le persone ferme alle fermate del bus, invitandole a salire sul proprio mezzo.
Dubito che gli stipendi di questi lavoratori servano a molto più che una decente sopravvivenza, ma se non sono questi i membri del ceto medio di cui tanto si discute a Occidente, ho comunque il forte sospetto che la middle class cinese già esista, almeno nelle aree urbane.
I luoghi storici, i ristoranti, i parchi, la metropolitana sono pieni da scoppiare. E sono affollati praticamente solo da cinesi: per lo più di Pechino, ma anche turisti in arrivo da Shanghai, Canton, Chingquing. Turismo interno, medio spendente. Non sono i super ricchi, gli oligarchi del renminbi, funzionari di partito o affini. Sono persone comuni con lavori normali che iniziano poco a poco, e con una certa diffidenza verso tutto ciò che non è tangibile (carte di credito e bancomat sono praticamente sconosciuti), a spendere.
Il punto – ma questo merita una riflessione approfondita – è quanto le nostre aziende possano penetrare in questo tessuto umano e sociale. L’Occidente spera nel miliardo di consumatori cinesi per ridare spinta alla propria economia giunta al capolinea, ma la storia della Cina rivela che i cinesi scelgono se stessi, sempre. Non hanno desideri di contaminazione (né, almeno storicamente, di colonizzazione) né tentazioni straniere: vogliono la pace sociale e il benessere in casa propria, sentendosi oltretutto superiori a qualsiasi altra civiltà. E dunque, penso, quando tutti inizieranno a consumare compreranno le macchine che loro producono per se stessi, non le Fiat. Si ripiegheranno in se stessi, non avendo più bisogno nemmeno della valvola di sfogo che oggi siamo per loro noi consumatori (e debitori) occidentali.
Il che riporta tutto a quello che mi ha detto Le Goff nell’intervista linkata qualche post più sotto: nel 1500 la Cina era nella stessa condizione di oggi, poteva conquistare il mondo. Invece si eclissò senza spiegazioni.
Chissà se le multinazionali ci hanno mai pensato.

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