Beirut/Dispacci #12


soundtrack: Morning bell


Delicatezza non è la parola da associare al Libano, ma l’altra sera, in mezzo a canti palestinesi e calici generosi, quella di Halim mi ha travolto come vento di scirocco.
Era delicato lui, con la timidezza che gli fa scegliere con cura le parole soppesandone il valore, ed era quasi struggente il racconto di uno spaccato della sua infanzia, storie ordinarie di ragazzini cresciuti sotto le bombe della guerra civile.
Tutto il vicinato si nascondeva in un’unica casa, mi ha spiegato, dove dormivamo a decine, sdraiati sui materassi testa-piedi-testa-piedi per guadagnare spazio. Avrò avuto sette anni e mi sono preso la prima cotta per una bambina che dormiva affianco a me, i suoi piedi affianco alla mia testa e viceversa. Così per me le bombe avevano un che di romantico, capisci, quando c’era l’allarme e si correva nel rifugio ero felice, anche se non potevo farlo vedere a nessuno. Ma lei se ne era accorta e un giorno ci siamo svegliati e mi ha baciato un piede in uno slancio di tenerezza. A quel punto mi sono fatto coraggio e l’ho baciata a mia volta, un bacio sulle labbra, una cosa tremendamente appassionata per essere un bambino! Ma la cosa strana è che mentre la baciavo non riuscivo a smettere di pensare che quella stessa bocca aveva toccato i miei piedi un attimo prima, e mi faceva un po’ impressione. Non è strano che lo abbia pensato? E’ il ricordo più forte che ho di quel periodo. Forse per questo ancora oggi non so stare a piedi nudi di fronte a nessuno.

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