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Dispacci, Seattle #4
Posted by gea in Dispacci, immigrazione, politica e dintorni, viaggi on September 1, 2018
In giro per la West Coast è tutto un succedersi di cartelli in difesa delle minoranze, dei migranti, della comunità Lgbt. Non menzionano mai Trump nello specifico – ed è giusto, perché non è dall’uomo che bisogna difendersi bensì da una cultura profondamente radicata che lui ha contribuito a rivalutare – ma si riferiscono a tutto quello che è successo negli ultimi due anni, da I believe that Black Lives Matter a Parents and their children shouldn’t be divided by force.
A Seattle, che è una città vivace e non conformista – nonostante Amazon, Microsoft, Boing e Starbuck, la Big America Corporatation che ha sede qui – molti bar e ristoranti hanno affisso adesivi sui vetri con cui rassicurano le persone gay, transgender, rifugiate: Here you are safe, qui siete al sicuro.
Mi è sembrata una cosa fortissima: siete al sicuro, vi stiamo offrendo protezione, da chi non vorrebbe che foste quel che siete, da chi non vi vuole in giro, da chi potrebbe aggredirvi o farvi male in altra maniera.
Evidentemente specificarlo serve, evidentemente quella cultura di cui parlavamo sopra, l’intolleranza, la rabbia sociale, l’ignoranza, la prevaricazione, l’egoismo e tutto quello che sta rinsaldando il mostro nero dei nostri anni, esiste eccome. Non è solo marketing: potete fidarvi o meno, ma lo so, l’ho sentito, l’ho visto.
Ecco, allora mi chiedo: quand’è che importeremo questa cosa in Italia, dove il nero in giro è lo stesso, se non peggio? (Qui almeno formalmente l’industria più potente al mondo, Big tech, è schierata a favore delle minoranze, talvolta in aperto contrasto con l’Amministrazione su specifiche scelte come il Travel Ban, il divieto di immigrazione per certi cittadini e per i loro congiunti; da noi non mi pare di aver sentito una sola società o famiglia che conta, dalla Ferrari a Della Valle passando per Cucinelli che normalmente è il santo de noantri, dire qualcosa).
Ce ne sarebbe molto, molto bisogno, e non solo nella solita Milano, che essendo la capitale nazionale del marketing ha capito subito come posizionarsi – e meno male, non fraintendetemi.
Ci sarebbe bisogno anche che, una volta successo, i media (di destra, soprattutto, ma anche alcuni dei molti che si definiscono indipendenti e menano colpi al cerchio e alla botte con la stessa felicità con cui scrivono tweet) non lanciassero la grancassa canzonatoria delle magliette rosse o dei radical chic o delle bandiere della pace che furono.
Serve rispetto, anche quello.