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San Paolo/Dispacci #2
Infine è arrivata Pasquetta e mentre amici e parenti mandavano foto di loro al mare, loro sui prati verdi, loro col maialino arrostito, loro in mezzo alla neve (questo mio padre, ché si sa che lui è sempre un po’ più eccezionale degli altri) io e il Galimba ci siamo trovati con il compito improbo di organizzare la giornata nella megalopoli del cemento, non potendo nemmeno contare su uno degli elicotteri che qui i fighi usano per andare in giro (la macchina è plebea; il traffico infame).
Appuntamento a pranzo a Libertade per un sushi, scampolo di esotismo nell’asfalto. Ma anche il più grande quartiere giapponese del mondo cambia e il nostro ristorante nel frattempo aveva chiuso, anzi, era stato abbattuto, si suppone per fare spazio a un palazzo ancora più grosso e massiccio ché vuoi mai dare un po’ di respiro allo sguardo.
Dopo aver ripiegato su un altro ristorante, studiato la mappa e provato a trovare riferimenti in un paesaggio monotono come un pezzo della Pausini, Gabri ha trattacciato la rotta per il centro. La mappa, a dire il vero, è finita ripiegata in dieci minuti, perché per farla corrispondere con le strade vere ci vuole più fantasia che a inventarsi il percorso: la segnaletica funziona in modo casuale, con i cartelli agli incroci che non indicano a quale via corrisponde quale nome, ma più o meno soltanto che quelle quattro vie hanno quei quattro nomi, e magari anche sei, rua do mago do nacimiento do sao paulo do brazil – più o meno così, ecco.
Siamo comunque arrivati intorno alle 16 all’Edificio Italia, il palazzo più alto di San Paolo, un po’ affaticato dallo scorrere del tempo ma comunque intriso di una sua certa nobiltà: incluso il fatto di pagare due o tre persone per pigiare il bottone dell’ascensore dodici ore al giorno seduti su uno sgabellino rivolto verso una parete di metallo.
All’ultimo piano, comunque, la vista è tale che ripaga di ogni sforzo: spero che la tizia che di mestiere pigia il bottone abbia dieci minuti di pausa per potere guardare il panorama, ogni tanto.
Chiamarlo panorama, in realtà, è improprio: c’è un solo elemento – blocco verticale di cemento rispondente al nome di grattacielo – ripetuto per decine di centinaia di volte, per decine di chilometri, finché arriva lo sguardo. Però è un panorama eccome, e forse uno dei pochissimi al mondo così.
Infatti ci siamo seduti in questa terrazza chic dove solo per entrare vogliono 30 reais – per essere una vista sull’asfalto, se la fanno pagare – e abbiamo preso due alcolici come due signori dell’alta borghesia. Poi abbiamo guardato, guardato, guardato: ma alle cinque eravamo pronti ad andarcene. Ehm, dunque ora cosa facciamo?. Vuoto pneumatico: in una città da 20 milioni di abitanti, non c’è un solo posto dove fare una passeggiata. Potremmo andare…ehm…ehmm, al museo!. Cazzo è chiuso oggi. E allora andiamo ehm, mmmm, ehm, sulla Paulista.
La Paulista è l’arteria principale del traffico di San Paolo, praticamente un inferno di palazzi ed elicotteri che atterrano sui loro tetti, disseminata di centri commerciali; è anche la loro strada più celebre, nonché l’unica su cui la gente cammini avanti e indietro. Dunque ci siamo presi anche noi la nostra parte di striscio. Alle 17.30 abbiamo iniziato a guardarci di sottecchi. Entriamo?. Sì, dai, ho già mappato le wifi lì..
Dieci minuti dopo eravamo seduti in mezzo a una distesa di fast food dall’odore letale, in mezzo a gente obesa, con i telefonini in mano cercando come forsennati di beccare una connessione gratuita: scene da americani del Wyoming alla prima gita a Kansas city.
Non ho mail a cui rispondere.Neanche io.Vabbè, camminiamo ancora un po’ sulla Paulista.
All’altezza del museo di arte moderna, ci siamo fermati al mercatino nero delle figurine panini, l’unico elemento di umanità viva nell’isolato (che l’umanità sia utilizzata da 50enni per scambiarsi immagini di calciatori, meticolosamente registrate su fogli e schedate una a una, è un dettaglio folcloristico).
Cos’è quel palazzo lì Gabri?. Ha un aspetto diverso dagli altri. Dai, andiamo a vedere. Ovviamente era un centro commerciale. Ci siamo seduti in mezzo, i telefoni alzati al cielo in cerca di un segnale wifi. E io non l’ho nemmeno trovato.
Per fortuna poi erano le 19 e abbiamo potuto salire su un taxi, fare mezz’ora di zigzag tra i palazzi, finire in un altro quartiere di palazzi (benché più fighi) per farci raccontare a cena da amici – che nel frattempo si guardavano le spalle per paura di essere rapinati – quanto è bella San Paolo e quanto ci si vive meglio di Rio.
Sì, certo.