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Did they get you to trade your heroes for ghosts? (ovvero, Coop rosse e dintorni)
Posted by gea in alla rinfusa on December 22, 2013
Dieci della mattina del 22 dicembre: domenica prima di Natale, tre giorni innanzi allo stesso e centinaia di genitori nel panico da regalo. Un sms sul mio telefono. «Verifica per favore se da quelle parti si trova camion VVFF con mezzo anfibio Lego. Segue codice: 3340».
La firma, ovviamente, è quella di mio fratello, ché solo lui è capace di mandare un telegramma per incorporare una richiesta a Babbo Natale.
Brividi attraversano il mio corpo: l’ultima volta che mio nipote ha chiesto all’anziano signore dei doni un regalo irreperibile in Liguria ho dovuto quasi calpestare il genitore di un cinquenne al Disney Store per accalappiarmi l’ultimo personaggio di Cars rimasto nel Nord Italia. Ma è mio nipote. Gli voglio bene. E i Lego aiutano lo sviluppo intellettivo. Quindi decido di provarci.
Un’ora e qualche tonnellata di ringo boys dopo – ogni missione impossibile esige un’adeguata colazione – accosto la macchina vicino a un negozio di giocattoli che tracima adulti disperati (acquirenti) e altri adulti in prossimità di tracollo nervoso (venditori).
Attendo con pazienza il mio turno di fronte a un ventenne dietro al bancone che evidentemente sta sognando discese innevate e playmate in bikini.
– Scusa, cercavo un camion dei vigili del fuoco con relativo mezzo anfibio. Ah sì, della Lego, non veri, ehehe – esordisco imbarazzata.
Mi guarda come se stessi parlando di fisica quantistica.
– Tutto quello che c’è è lì.
– Non vedo nessun mezzo anfibio dei vigili del fuoco – ridacchio per stemperare.
– Allora guarda sul catalogo.
Mi mette in mano un catalogo patinato: lo sfoglio avidamente, ma del camion dei vigili del fuoco nemmeno l’ombra.
– Non c’è.
– Allora non è più in produzione, sarà una cosa vecchia – conclude tirando il fiato lui, mentre mi invita con lo sguardo verso l’uscita. Che, in effetti, imbocco: anch’io alleggerita dall’impossibilità di onorare l’incombenza.
Mentre risaliamo in macchina, però, l’amico che mi accompagna – secondo solo a mio fratello per meticolosità – mi fa notare come il catalogo fornitomi dal ventenne fosse assai sguarnito. «Guarda, ho comprato Lego per 15 anni», inizia con il fare dell’ingegnere meccanico che in effetti è, «non ho mai visto un catalogo così ridotto: li sfogliavo per settimane prima di scrivere la lettera, da bambino. Dobbiamo provare da un’altra parte».
Maledicendo la precisione altrui, convengo sommessamente.
Venti minuti e un paio di telefonate di verifica dopo, stiamo approdando di fronte al Paradiso dei bambini, immenso capannone padano in cima alla via Emilia zeppo di orsi polari di peluche ad altezza naturale e con un’intera ala dedicata ai Lego. Ci sono castelli di Nottingham in un milione di pezzi, macchinine telecomandate da costruire con nottate insonni (roba Technic, per futuri fidanzati rompipalle maniaci dell’ordine, anche se nelle avvertenze non c’è scritto), distributori di benzina e garage a sei piani di ogni colore. Ci sono tutti i Lego di tutte le epoche. Del mio, tuttavia, nemmeno l’ombra.
– Signorina, mi scusi, stavo cercando un camion dei vigili del fuoco con relativo mezzo anfibio – riparto con la tiritera.
La venditrice in divisa d’ordinanza scuote la testa in segno di diniego: mezzi anfibi a quell’altezza della via Emilia la Lego non ne ha recapitati.
– Le do il codice, se potesse controllare – incalzo.
Con rara gentilezza, si mette al computer. Questione di istanti: «Mi spiace, ma il codice è inesistente».
Per qualche secondo resto sgomenta, poi prendo il telefono e chiamo mio fratello: è la prima volta in 33 anni che sbaglia un dettaglio tecnico, le mie certezze già esigue sulla vita si stanno rapidamente assottigliando.
«Mauro, il codice che mi hai dato non esiste: sono qui nel Paradiso dei lego con la negoziante di fronte».
Sfida lanciata: 15 secondi dopo, il fratello maggiore mi spedisce via email la foto della confezione del camion dei vigili del fuoco con relativo mezzo anfibio e, naturalmente, codice in bella vista, il tutto scaricato da internet.
Rincuorata, mostro la foto alla negoziante. Lei inizia a digitare freneticamente sul web, appurando, a sua volta sgomenta, che il prodotto in effetti esiste. Eppure, per un qualche mistero del cosmo, in quell’angolo di via Emilia nessuno lo ha mai paracadutato.
E’ talmente in imbarazzo che sto per dire che scherzavo, volevo Barbie fior-di-pesco in realtà, ma sta già raggiungendo il suo responsabile per chiedere lumi.
Il ragazzone ascolta, poi si avvicina a noi impalati come staccafissi e dice in un bisbiglio. «Mi dispiace, quella è un’esclusiva Coop».
«Come, scusi?». «Non lo distribuiscono a noi negozianti normali: è un’esclusiva delle Coop».
Io e Diego ci guardiamo increduli. «Ma come, non è mica un co-marketing, è un Lego!». «Signorina, non so cosa dirle: hanno fatto un accordo, quei modelli li danno solo alla Coop, sono un’esclusiva Coop».
Se ne va prima che possa fare qualche domanda. E la democrazia dei regali di Natale? E i bambini che abitano dove le Coop non ci sono? E il principio che la concorrenza aiuta a tenere i prezzi bassi? I comunisti si sono mangiati anche Babbo Natale, visto che di bambini non se ne fanno più?
Ah no: quelli erano i comunisti. Queste sono le coop rosse. In mezzo c’è morte della sinistra dell’equità. Persino nella distribuzione dei Lego. Scusate, allora ve lo chiedo come un favore, visto che su quelli siete più ferrati: non è che me ne mandereste uno per mio nipote?