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Patagonia Dispacci #8
E insomma, ero stata buona e seria per tutta la navigazione, finché ieri sera ho deciso di salire al bar dei gringo a salutare i miei amici canadesi. Li ho trovati in un tavolino centrale, lui col suo cappello da marinaio in testa e un bloody mary in mano, lei in prossimità del bancone del bar a reclamare una ciotola di noccioline.
May I join?, Posso sedermi, ho chiesto, e non avevo ancora scandito l’ultima sillaba che lei gridava al barista, Un pisco sour, por nuestra amiga. Mentre io finivo il primo – g i u r o – lui ha bevuto due bloody mary e mezzo e lei tre flûte di bollicine, con il tono della voce che si alzava sempre più, fino a coprire qualsiasi suono circostante. Snocciolavano racconti di una vita che gli ho invidiato – o, meglio, ho invidiato l’essere arrivati alla loro età e con le loro vicissitudini in quella forma. Per punti salienti: lei pubblicitaria, senza genitori, abbandonata dal compagno non appena nato loro figlio, licenziata all’età di 40 anni perché troppo vecchia per un mondo di giovani rampanti, nonché dotata di prole in età da scuola elementare, viaggiatrice in Europa col figlioletto appresso, reinventatasi freelance, infine accasata con lui 13 anni or sono, all’incirca 50enne. Lui ingegnere, un divorzio e una vedovanza alle spalle, un problema serio di deambulazione, tre figli da accudire, pensionato a 50 anni perché non più del tutto abile al lavoro (ma ricoperto di soldi per uscire), infine felicemente nuovamente marito quand’era già vicino ai 60.
Alla fine delle loro storie, un’ora dopo – rigiuro – lui s’era fatto cinque bloody mary e io tre pisco sour, avevo ovviamente collezionato un invito ad andarli a trovare e lei mi aveva ripetutamente proposto in sposa al loro figlio maggiore (figlio di lui, in realtà, pompiere 40enne danaroso, hanno specificato). Ho promesso che ci avrei pensato e mi sono congedata, prima di svenire a causa dell’alcol prima di cena: mai avrei potuto stare al loro ritmi.
Stamane, mentre andavo a far colazione, sento qualcuno che mi strattona la manica. Era lei. Mi ha indicato il suo telefono: aveva scaricato apposta dal computer alcune foto del mio promesso sposo. Le ho detto che era bello, per non deluderla: e in effetti è carino. Ho anche promesso che a fine giugno vado a trovarli per il festival jazz di Montreal. Penso che sarebbe una delle cose più divertenti del mondo, ma prima devo fare una cura disintossicante: se tanto mi dà tanto, una settimana con loro potrebbe compromettere il mio fegato per sempre.