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Bahia/Dispacci #3
Posted by gea in Dispacci, gea and the city, viaggi on April 19, 2014
Breve riassunto delle puntate precedenti.
Sono arrivata a Salvador de Bahia, 12 ore di meraviglia e poi lo sciopero della polizia: assalti agli autobus, saccheggi nei supermercati, negozi sigillati, città deserta, stranieri chiusi a chiave in alberghi e ostelli perché troppo pericoloso uscire.
Poi Dilma ha mandato questi, che a vederli così paiono anche simpatici ma giuro che non ci si sente tanto bene a essere circondati da ragazzetti col dito sul grilletto.
Stasera stavo finalmente uscendo per andare a mangiare qualcosa di diverso di carne secca e farofa, altrimenti detta sabbion o segatura, che sono arrivati qui da Brasilia per arrestare il capo dei poliziotti scioperanti accusandolo di crimini contro la sicurezza nazionale; in dieci minuti le strade si sono di nuovo svuotate, i tassisti hanno ripreso a bruciare i rossi e quello che mi ha scaricato in piazza mi ha detto buona fortuna per il tratto di strada tra la piazza e l’ostello.
Ecco, direi che sono pronta ad andare via.
Rio/Dispacci #5
Posted by gea in Dispacci, gea and the city, viaggi on April 4, 2014
Non me ne capacito: Darwin mi deve una spiegazione. Perché dopo qualche giorno riesco a bere l’acqua del rubinetto, mi muovo in favela, parlo con chiunque e ho persino imparato a chiudere le porte dei taxi senza sbatterle – la cosa che li fa più imbestialire al mondo – ma per farmi muovermi a tempo di musica, qualunque essa sia, dovrebbero infilarmi un microchip gli alieni e telecomandarmi da Urano?
Ieri sera a Lapa matrone di 140 chili sembravano farfalle su tacchi a spillo, con il petto procace sodo come il marmo in un’unione mistica con le chiappe sopra le spalle, mentre io e i miei 51 chili di legno puro davano ginocchiate a un povero inconsapevole che si era offerto di farmi ballare. E non che non avessi assorbito cahipirinha a sufficienza a librare lo spirito; il corpo, tuttavia, me lo hanno imbalsamato precocemente.
Rio/Dispacci #4
Strani fenomeni di osmosi con l’ambiente: partito fotografo, si è trasformato in wife beater delle favelas (e ne va fiero).
Rio/ Dispacci #3
Posted by gea in Dispacci, politica e dintorni, viaggi on April 3, 2014
E quindi, Lula è stato un buon presidente?
Lula è arrivato che non aveva le scarpe, ora va in giro con quelle fatte a mano dagli italiani.
un tassista e il dono della sintesii
Rio/ Dispacci #2
Così, dopo aver passato la mattina a fare foto ai turisti che fanno foto al Cristo sul Corcovado e il pomeriggio a fare foto con un drone su Ipanema, ieri sera ci siamo buttati via al Plataforma, un posto di samba e capoeira che negli anni 70 certamente deve aver fatto la sua fortuna, ma per evitare il fallimento oggi raccoglie turisti dell’Est Europa e del Sud del mondo incanalati da tour operator scadenti.
Odore di muffa e stantìo, cahipirinhe calde (calde, sì) e carta da parati penzolante facevano da contorno a uno spettacolo in cui anche i migliori sembravano scimmiette ammaestrate nell’attesa del colpo grosso, qualcosa tipo il nano mirabolante o la donna cannone. E invece, due ore di ballerine di samba con le calze, per di più rotte, dopo, il colpo grosso si è presentato sotto forma di un pasciuto intrattenitore, con uno frack liso rosso e nel taschino due parole in ogni lingua, arrivato infine a salutare il pubblico in ceco, russo, bulgaro, ucraino. E quando è toccato all’italiano, con uno scatto da anguille Gabri, Edo e io siamo corsi verso il palco – esiste un video, ma lotterò per tenerlo segreto – a cantare Volare, più freak dei freak, con tanto di ombrellino alla Fred Astaire che Gabri ha recuperato non so dove nel tragitto tra le poltroncine di legno e il palco.
Penso che alla fine ci abbiano persino gridato Bravo, ma forse me lo sto inventando: trance da palcoscenico. E cahipirinha calda.
Rio / Dispacci # 1
All’aeroporto di Rio nessuno sembra essersi accorto che fra due mesi iniziano i mondiali e milioni di persone si riverseranno nella stanzetta col lineoleum consumato, sei sportelli di numero a fare il controllo passaporti e i doganieri che parlano tra di loro mentre stampano il foglio di ingresso.
A prima vista fiumi di parole sui massicci investimenti infrastrutturali per accogliere i visitatori paiono soltanto un’operazione per rassicurare noi ansiosi occidentali (e magari affidare qualche appalto).
Gli unici operai che ho visto al lavoro – ma sono appena arrivata – sono quelli che stamane alle sei hanno iniziato a trivellare fuori dalla mia finestra. Mi sono sporta a guardare rintronata dall’umidità e dal jet lag. Erano in sette: sei fermi immobile a chiacchierare e uno dietro alla macchina. Ahì Sudamerica.