Lasciate ogni speranza voi ch’entrate


PierLuigi Celli, direttore dell’Università Luiss di simpatie sinistrorse, ha pubblicato qualche giorno fa una lettera che ha destato grande scalpore.  Fornendo giustificazioni tanto vere quanto non completamente rilevanti, Celli raccomandava a cuore aperto al proprio figlio  – e per traslato a tutti i giovani – di fare quello che chiunque può già fa: impacchettare le proprie cose e darsela a gambe. In Italia non c’è futuro, lasciate ogni speranza e cercate il vostro destino all’estero: questo il sunto. Non propriamente una novità, ma di un certo impatto detto da chi rappresenta l’istruzione e il viatico al mondo del lavoro.

Alla sua lettera – accorata e un po’ stucchevole, secondo il mio sindacabile parere – ha risposto oggi Benedetta Tobagi, 32enne, candidata nelle liste del PD alle ultime provinciali milanesi ma, soprattutto, figlia del Walter firma di punta del Corsera assassinato dalla Brigata XXVIII Marzo nell’80. La Tobagi ha risposto dicendo, per sommi capi, che è sbagliato incitare a scappare: chi ha il coraggio resta e resiste, rovescia la situazione del Paese, combatte con le unghie e con i denti. All’estero – continua – ci si vada per fare esperienza e a divertirsi, ma la nostra casa è l’Italia.

Lo scambio, pur esaltato da molti, mi pare un perfetto esempio di cosa non va nel Paese, condensato in due missive ai giornali apparentemente cariche di buone intenzioni se non addirittura di rimedi ai mali collettivi.

La prima cosa che mi ha fatto saltare la mosca al naso – non è vero, non è la prima, ma siccome la prima è troppo personale la faccio scalare in graduatoria – è l’ipocrisia di Celli, che si trincera dietro a fatti inconfutabili ma non certo vero cuore del malessere dell’italiano (la lentezza della burocrazia, per esempio). Mi è sembrato che per non addentrarsi in uno spinoso ginepraio politico Celli tergiversasse, indicando fattori reali come elementi decisivi e sorvolando su altri che decisivi lo sono davvero.

Soprattutto, però, Celli trascura un dato: andare all’estero, oggi come ieri come domani, è un privilegio per pochi. Non bastano una laurea, un master e la conoscenza di alcune lingue straniere (tre elementi, in ogni caso, non proprio alla portata di tutti): ci vuole anche una solidità economica – che di certo non può essere prerogativa del 25enne alle prime armi – per mantenersi fuori confine; ci vuole la fortuna di incontrare le richieste di un mercato del lavoro che non si conosce (a meno di non diventare tutti ingegneri o venditori, i cui servigi sono richiesti un po’ ovunque: stiamo però allora consigliando ai ragazzi di rinunciare a tutte le professioni di ispirazione “umanistica?”); ci vuole il supporto, finanziario e morale, della famiglia d’origine. Insomma, la strada indicata da Celli è quella da sempre riservata alla buona borghesia, destinata a produrre nuova borghesia. Una scelta di classe, in qualche modo.

La risposta della Tobagi, per contro, è figlia di un idealismo che non ha nulla a che vedere con le condizioni reali del Paese. Resistere per rovesciare le condizioni: ma di che stiamo parlando? Lo sa la Tobagi che in Italia prima di un contratto di assunzione ci vogliono 12 mesi di stage gratuiti e tre anni di cococopro a cinque, seicento euro mensili? Lo sa che durante stage e cococopro i datori di lavoro ti trattano come un dipendente a tutti gli effetti salvo non darti alcuna delle tutele che spettano al dipendente? Lo sa la Tobagi quanti sono i posti disponibili oggi in Italia per professioni qualificate e quante le domande? Lo sa quali sono le barriere all’ingresso in moltissimi settori?

Sto su un campo che conosco – e che, almeno per alcuni versi, immagino conosca anche lei – il giornalismo. In Italia ci sono 180mila giornalisti professionisti per 17mila posti da assunto. Diventare giornalista professionista significa, oltre a pagare un obolo di 1.000 euro circa all’ordine nazionale (corsi obbligatori di formazione, tasse di iscrizione all’esame, libri da comprare ecc ecc.), che qualcuno ti abbia assunto come praticante nei due anni precedenti: un’ipotesi così remota che per colmare il vuoto sono state istituite delle scuole di giornalismo, dove con la modica cifra di 15mila euro e due anni di alterna frequenza chiunque può comprarsi l’accesso ai banchi d’esame.

Detto questo – e finalmente arrivo al punto – il 95% dei giornalisti professionisti non avranno mai la soddisfazione di vedere un proprio scritto sulla prima pagina di Repubblica. Nessuno di noi, svegliandosi una mattina con l’impellente desiderio di rispondere a Celli, potrebbe pensare di recapitare a Ezio Mauro 5mila battute pulite pulite, destinate al taglio basso dell’indomani. Benedetta Tobagi – che non conosco e cui non voglio mancare di rispetto, ma che calza perfettamente come esempio – lo può fare perché suo padre quasi 30 anni fa è stato assassinato dai terroristi. Per quello lo può fare: perché si chiama Tobagi.

E torniamo così al principio. Quanta voglia avrei io – giornalista professionista alla soglia dei 30 anni, cresciuta tra l’America, la Spagna e l’Italia – di andare all’estero a lavorare? Tantissima. Quante possibiltà ci sono oggi che un quotidiano assuma dei corrispondenti? Zero. Ma non zero per dire: uno zero certificato dallo stato di crisi che blocca qualsiasi assunzione per due anni. Quante possibilità ci sono che questo mio post finisca domani sulla prima di Repubblica? Praticamente zero. Forse perché non me lo merito, in ogni caso di certo Ezio Mauro non mi conosce, nonostante di Cv al suo giornale ne abbia scritti miloni.

Ecco allora quello che Celli e la Tobagi non dicono: a noi non manca la voglia e il coraggio di provare. A noi hanno tolto la possibilità di provare. I 60enni che oggi ci consigliano di lasciare il Paese sono gli stessi che ne hanno sfruttato ogni possibilità, hanno fatto carriera, percepito immense retribuzioni, che possono contare su solide e sicure pensioni. Sono gli stessi il costo del cui stipendio impedisce di assumere giovani; sono gli stessi che danno buoni consigli avendo dato il cattivo esempio. Io da questa gente mi sento presa in giro; vorrei scriverlo sui muri: “Ci avete rubato il futuro”. Forse non era colpa vostra, forse non lo sapevate, forse non lo avete fatto intenzionalmente: ma siccome oggi non siete disposti a staccarvi dalle poltrone per fare posto a noi, almeno smettetela di darci saggi consigli.

  1. avatar

    #1 by giovanni on December 4, 2009 - 19:02

    Concordo pienamente. Aggiungerei che non solo la generazione precedente ha confiscato il nostro futuro, ma sembra che aldilà di proclami e moralismi posticci, di parole trite e ritrite sul precariato, di luoghi comuni e amenità di vario genere su “cciovani” e bomabaccioni, non sanno proporre nulla, pur essendo pienamente consapevoli di che peso rappresentano loro sulle nostre spalle, e di come le loro rendita di posizione sia destinata ad inesorabile declino. Non hanno confiscato solo il nostro futuro, ma anche i nostri sogni. Lavorerò a 5€/h anche questo week-end, purtroppo non posso scappare all’estero, come il figlio di Celli.
    Buona serata, a tutti.

  2. avatar

    #2 by giovanni on December 4, 2009 - 19:03

    Mi scuso:tremendo errore di sintassi..”sappiano”…al posto di “sanno”

  3. avatar

    #3 by Nicola on December 6, 2009 - 13:39

    andarsene dal proprio paese non e’ tanto diverso che andarsene in un altra citta’ – se parliamo finanaziariamente… Lo dico per esperienza personale.
    Sulla facilita di trovare lavoro, beh e’ un altro casino uguale che cercaselo sotto casa – a parte che se sei pronto a muoverti forse hai qualche possibilita in piu di trovarlo. Ma alla fine, un tantinello di culo ti aiuta sempre.

    Se poi vogliono scrivere andatevene dall’Italia, beh, sono piu di 100 anni che lo facciamo gia, comunque grazie per il consiglio..
    Troisi direbbe “mo’ m’o segno”.

    Permetti una critica, Gea? la storia del rapporto 1:10 tra giornalisti wannabe/scriventi inizio a trovarla un po’ noiosa.. non prenderla male, non voglio dire che non e’ importante la cultura, tutto il mondo “umanistico” come dici te, tutt’altro, ma la mia domanda e’: servono in Italia 180mila giornalisti? voglio dire, d’accordo il tuo discorso sui vecchi che non si schiodano dalle poltrone, ma in ogni caso, neanche se metti dieci su una seggiola che si libera le riempi tutte… forse il problema e’ sulla selezione nel cammino. Azzardo, perche in tutta sincerita non ne so molto. Capiscimi non voglio arrivare a dire non studiare giornalismo se e’ la tua passione, ma CAZZO, i numeri non mi tornano.

    Se vogliamo parlare dell’andazzo sull’Istruzione, beh, allora sono molto piu d’accordo; li i tagli sono piuttosto folli (seppur prevedibili) per un paese nella merda come l’Italia – non voglio una rivoluzione sandinista, ma una svolta forse ci aiuterebbe a non affondare definitivamente.
    Ecco, il vero schifo dell’Italia, se posso dire la mia, e’ che un idraulico guadagni al mese 4-6 volte un insegnante..

  4. avatar

    #4 by gea on December 9, 2009 - 10:30

    Nico, intanto ben arrivato qui.
    Partiamo dalla fine: sono d’accordo con te sui guadagni dell’insegnante. I professori, essendo il nerbo della nostra società, quelli che tirano su i ragazzi, dovrebbero essere molto più pagati, hanno un ruolo troppo importante. Non so invece se gli idraulici e altri artigiani dovrebbero guadagnare meno; in fin dei conti la loro ricchezza sta nel fare qualcosa che oggi nessuno vuole più fare: lavorare con le mani.
    Detto questo, e venendo al resto, sono d’accordo con te anche quando ti chiedi se 180mila giornalisti siano troppi. Probabilmnte sì. E il punto è esattamente quello cui accenni: nonostante il detto “meglio essere giornalista che lavorare”, la nostra professione è una vocazione al pari di quella del medico, anche se infinitamente meno importante (almeno per alcuni aspetti). Io sono affranta quando constato le decine di persone della mia età che ci si sono buttate tanto per, che oltretutto non mettono insieme il pranzo con la cena, sputtanano la professione e daneggiano “il mercato”. Bisognerebbe che la gente lo capisse, e probabilmente ci vorrebbe una regolamentazione della professione (ma qui si entra nei problemi legati all’Art 21 Cost) molto più rigida e severa, per scoraggiare chi non ci crede sul serio.
    Quanto infine alla supposta facilità di andare all’estero, non sono d’accordo, affatto. Tu parli, immagino, anche a partire dalla tua esperienza personale: giovane, brillante, ingegnere specializzato, sei finito direttamente negli Emirati a cercare l’acqua. Ma questo ha a che vedere molto con il discorso sulle professioni “umanistiche”, che non sono solo il giornalista, ma anche l’insegnante, il copywriter e molte altre. Per noi, nico, non è così facile come per te, affatto. L’opzione estero non la si può considerare come la soluzione a tutti i problemi, anche se – per essere onesti – io la sto considerando.

  5. avatar

    #5 by momo on December 9, 2009 - 13:13

    per un mero discorso meritocratico gli idraulici non dovrebbero chiedermi 200 euri senza ricevuta per sostituirmi un rubinetto (+ i costi del muratore a parte, perche loro sono signori, e non ci mettono mano). PErche’? Perche’ chiunque al terzo rubinetto che cambia lo sa fare. Dov’e’ il valore aggiunto del tuo lavoro? Ma scusa, davvero che cazzo abbiamo studiato a fare?!?
    E non e’ neanche tanto un problema di domanda/offerta, e’ che la gente (normale) si e’ rincoglionita. Dico io.

    Sulla difficolta a trovarsi un lavoro, io personalmente non sono per andarsene per forza dall’Italia. A me e’ capitato, ho deciso di andare, e mi e’ andata – abbastanza – bene; altri non l’avrebbero fatto, e sarebbero vissuti altrettanto felici di qualnto lo sia io, forse pure di piu. Di sicuro avrei dovuto aspettare qualche tempo in piu’ prima di ricevere il mio primo stipendio piu o meno fisso…

    Andarsene “per forza”, ti potra’ dare qualche soldo e tranquillita economica, ma non ti garantisce in automatico la completa realizzazione, vero dono che pochi ricevono nella vita.

    D’accordo, lo dico “con la pancia piena” ma davvero non avrei tanti problemi io a mollare tutto e svoltare ancora la mia vita… se non fosse che da un po di tempo a questa parte ragiono non solo per me, ma per due (o piu) persone.

    Sai, girare il mondo alla ricerca disperata di un posto o persone che ti facciano stare bene, ti fa assomigliare tremendamente a quello che si accontenta (declino questo verbo senza negativita’) del camparino il venerdi sera..

  6. avatar

    #6 by gea on December 9, 2009 - 13:29

    Ovvio, ma nessuno parlava di una soluzione estero per mettere a posto i propri problemi. Qua se ne discute solo in termini lavorativi, e quello che tu scrivi conferma la mia ipotesi. I miracoli non esistono, ma mi risulta che tu al consegnare la tesi, o poco dopo, avessi un lavoro negli emirati; qui la prassi non è esattamente quella, anche se gli ingegneri (probabilmente per merito) fanno sempre un po’ prima degli altri.

  7. avatar

    #7 by gea on December 9, 2009 - 13:30

    quanto al cambiare i rubinetti…beh, per me potrebbe essere un problema anche alla centesima volta, te lo assicuro.

  8. avatar

    #8 by Chicco on December 9, 2009 - 16:46

    Se proprio dovrò partirò, ma proprio se sarò obbligato da qualcuno, e non è Berlusconi…capito Gea? 😉
    Cmq dopo quello di Cali e di Medelin il cartello degli idraulici e sicuremente fra i più temibili e potenti.

    Ho ceduto il titolo per comprarmi un po’ di credibilità.

  9. avatar

    #9 by gea on December 9, 2009 - 16:50

    già, già, già.
    la tua storia è un libro appassionante, chicco

(will not be published)