Io sono la crisi


Marta e io abbiamo scritto un bel pezzo sulla crisi in Europa. Abbiamo sentito scrittori, sociologi ed economisti e cercato di capire cosa c’è di diverso tra le routinarie proteste dell’autunno e quelle di quest’anno: i ragazzi che si riprendono le città in Italia, Inghilterra e Francia; i tedeschi borghesi che dicono no al nucleare con inedita partecipazione; la classe media di Grecia, Portogallo e Irlanda che sconta le pene che sarebbero toccate ai banchieri.
Ne viene fuori un quadro composito ma, tagliando corto che magari qualcuno di voi si prende anche la briga di leggerlo, il punto centrale è: la gente si è stufata delle ingiustizie. Inizia a reagire perché ha capito di non avere più un futuro da costruire: mancano i mattoni. Non è una frase buttata lì: i dati economici, che facciamo interpretare a esperti (liberisti), lo raccontano in modo incontestabile. La consapevolezza definitiva che il futuro sarà peggiore del presente e del passato.

Eppure stamattina, come ho scritto a Marta, ho pensato che ci fosse qualcosa di sbagliato in quel pezzo. Noi.
La nostra posizione di giornaliste d’assalto 30enni, che nel mero mettersi di qua dal foglio assumono un distacco necessario alla professione ma dannoso alla realtà delle nostre vite. Mi sono sentita falsa, nel dire “la gente è stanca”. Perché io sono stanca.
Io appartengo alla generazione (che non è solo quella dei trentenni in giù, ma anche di molti quarantenni) che non ha futuro: e se mi permetto di raccontarlo agli altri è solo perché per anni ho potuto studiare, girare il mondo, imparare le lingue, comprarmi e leggere un sacco di libri, ingozzarmi di film con i soldi dei miei genitori.
Mi sono formata sulle loro spalle; a 30 anni, il rapporto tra il numero di ore che lavoro e quello che guadagno è simile a quello tra il debito e il Pil italiano (120%, decimale più, decimale meno). Io sono la gente che è esasperata. E, forse, nell’accettare di scrivere con il distacco necessario alla figura professionale di un giornale che non vive di particolarismi, compio l’errore di farmi stritolare dalla macchina.
Non sono sicura dell’onestà di questa cosa, come d’altra parte non so se esistano alternative.
Ma la mia coscienza ha avuto un sussulto oggi, uno dei tanti di questi tempi.
E non riuscivo a fare finta di nulla.

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    #1 by marco on November 29, 2010 - 12:04

    Sabato (non importa al termine di quale processo mentale) ho pensato quasi la stessa cosa.
    Ho “visto” con lucidità che nella mia formazione e crescita ho avuto accesso a risorse finanziarie (perché di questo si parla) che mai e poi mai riuscirei a offrire a un figlio mio. Ma non riuscirei a offrirgliene un decimo, probabilmente.

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    #2 by momo on November 30, 2010 - 07:01

    io me ne torno in Italia tra qualche mese… che stronzo, eh?

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    #3 by gea on November 30, 2010 - 09:47

    tu hai una moglie che ti lascia se non torni a casa, Lessie 🙂

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    #4 by Bios on December 7, 2010 - 23:44

    Gea bella. La gente è stanca. Noi siamo stanche. Forse sono la peggiore delle nichiliste, ma io non credo in nulla. Men che meno nella rivoluzione, nell’illusione che le cose possano cambiare affinché un domani possiamo sentirci un po’ meno stanche. Il mondo, la notte tra il 7 e l’8 dicembre del 2010, è così. Corre, graffia, ti toglie la pelle, va avanti per i fatti suoi. Assange lo hanno tenuto al gabbio, alla fine. Tra un po’ magari rieleggono pure berlusconi, e la gente continua a morire di fame. Ma la verità è che l’entusiasmo, così come la stnchezza non appartengono né a una generazione né a un’altra. E’ un testimone che passa di mano in mano. e quando passa si ricomincia daccapo. Le incazzature si smussano, le gioie si smorzano. E noi guardiamo tutto come degli estranei. Perché forse lo siamo. Il mondo non ci appartiene. E l’essere umano è un profondo egoista. Questa è la tristezza più grande del genere umano.
    Ti abbraccio geolin. Take care of you.

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