Paolo ha girato un piccolo documentario su Emilio Marchi.
Emilio, 70 anni, è un italo-argentino che nel 1974 è stato imprigionato a Buenos Aires per aver dato ospitalità a un dissidente.
Lo hanno tenuto dentro per tre anni, lo hanno picchiato, torturato, affamato, umiliato. Poi lo hanno costretto all’esilio.
Emilio è venuto in Italia, a Padova, dove aveva qualche familiare, e si è mantenuto vendendo i quadri che dipingeva. Nel 1983, alla caduta del regime, ha deciso di rientrare.
Gli ho chiesto perché. “Ogni esiliato ha dentro un misto di rabbia feroce e desiderio struggente di tornare”, mi ha detto.
Ha fondato una Ong per aiutare i bambini, Jardin de los ninos. “Ce n’erano centinaia per le strade, sporchi, affamati, mezzi morti di fame”.
Trenta anni dopo, aiuta ancora quei bambini, e le loro madri, e chiunque abbia bisogno. “Ma non è assistenzialismo: perché le persone devono essere spronate a imparare a lavorare, a mantenersi, a essere autosufficienti, ad avere una dignità”.
Paolo ha mostrato un trailer del lavoro alla platea di Padova, molto applaudito. Nessuno ha chiesto a Emilio, in sala, alto e magro come un stelo, visibilmente turbato e rannicchiato in se stesso come un bimbo, quale fosse il trait d’union: dove trova un uomo torturato e quasi ammazzato da una dittatura la voglia di tornare nel Paese e aiutare i più deboli.
La risposta è banale, forse. Ma è la forza straordinaria che nonostante tutto fa ancora girare il mondo.
Emilio Marchi
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