Vis à vis

Quei faccia a faccia con la storia che non dimentichi più

Jacques Le Goff

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It’s a rainy day

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A long way down

Ho scritto una email alla mia amica con oggetto “La puttana”. Foto allegata.
Ma non era una donna: era una ruga.
Una dannata ruga che da sei mesi, più o meno, tutte le mattine mi si formava come un solco dall’occhio sinistro a metà della guancia. Un rigagnolo profondo, un taglio di Fontana per niente rivoluzionario sul mio visino 32enne.
Per sei mesi, se ne andava entro un’ora dal risveglio: faceva le prove generali, questa stronza.
Nel ristrettissimo circolo di amiche ammesse a vedere La stronza – a mezzo autoscatti con gli occhi gonfi e la pelle giallastra sotto le lampadine del bagno alle 7 della mattina  – si accettavano ormai scommesse: quando diventerà permanente? Cosa sarà a dare il colpo di grazia all’elasticità della pelle e a lasciarla lì, in mezzo alla guancia, tableau vivant del tempo che passa inesorabile?
Hanno perso tutte. Soprattutto, ho perso io: adesso La stronza è  viva e lotta contro di me.
Stamane non se ne è andata. E non so se sono stati gli eccessi di ieri sera, ultimi di una settimana in effetti un po’ sopra le righe per i miei standard recenti.
So solo che ho chiamato la mia amica e le ho detto: Vedi, ho i segni del tempo che mi dovrebbe lasciare la fatica di aver fatto e accudito un figlio, che invece magari non farò, e giù lacrimevoli lamenti.
Lei, serafica, mi ha risposto: Basta che prendi cinque chili: ti si distende la pelle e addio rughe.
Manco morta, così prima di dire addio alle rughe dico addio agli uomini. 

P.s Sì, papà, se per caso stai leggendo questo blog: è pieno di parolacce e le parolacce non stanno bene sulla bocca di una signorina.
Nemmeno le rughe stanno bene sulla faccia di una signorina, però.

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Happy days

Quiz per gli internauti
Chi è che mi ha chiamato dicendomi: “Mi puoi ostpitare l’8 sera o hai il solito negrone in giro per casa?”

  1. Un amico d’infanzia quasi fratello, che mi chiama Paris Hilton e adora prendermi in giro
  2. Il mio ex fidanzato con il quale sono in ottimi rapporti
  3. Mio padre

(Non vi dirò la risposta. Ma la persona è la stessa che qualche settimana fa, mentre tornavamo da un concerto di suoi amici, se ne è uscita così: Eh certo, che come si vive ai Caraibi… Sole, belle donne, litri di rum e un po’ di spini e marija)

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nell’alto dei cieli/2

Oltretutto, ho il fortissimo sospetto che il vecchio barbuto mandi questo tempo di merda per mettere a prova la mia resistenza ai dolci.
Guarda, vecchio, finiamola qua: non ho alcuna resistenza, hai vinto tu.
Ora mi ridai il sole?

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nell’alto dei cieli

comunque Signore volevo dirti che sei un signore proprio gentile che fai scendere l’apocalisse ogni sera che l’indomani non mi devo svegliare alle sei e mezza. Proprio proprio gentile.

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Sulla strada

Deve esserci una ragione per cui ogni volta che allontano mi dalla sinistra (che, intendiamoci, non vive in Italia, né a nord né a sud), la vita mi manda un segnale. Tipo amici licenziati in tronco perché i margini aziendali non ci sono più, o famiglie di quattro persone che erano classe media fino a dodici mesi fa in cui adesso entrambi i genitori sono senza lavoro, un figlio va ancora a scuola e l’unico che porta a casa lo stipendio è un 25enne pagato decisamente meno dei limiti contrattuali per lavorare molto di più dell’orario previsto.
Se credessi in Dio, direi che mi rimette sulla giusta strada. Invece deve essere quella roba che si chiama coscienza.

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Sweet home via Vigevano

I suoni gutturali del Corbetta, le grida di peppuccio, i biglietti in stile rione popolare anni 50.
Sweet home via Vigevano.

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Imperdibile

Guardatevi tutte, ma proprio tutte, le foto dell’unofficial diary dei 12 mila chilometri del viaggio di Edoardo lungo i confini turchi.
Tutte, eh, mi raccomando.

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Emilio Marchi

Paolo ha girato un piccolo documentario su Emilio Marchi.
Emilio, 70 anni, è un italo-argentino che nel 1974 è stato imprigionato a Buenos Aires per aver dato ospitalità a un dissidente.
Lo hanno tenuto dentro per tre anni, lo hanno picchiato, torturato, affamato, umiliato. Poi lo hanno costretto all’esilio.
Emilio è venuto in Italia, a Padova, dove aveva qualche familiare, e si è mantenuto vendendo i quadri che dipingeva. Nel 1983, alla caduta del regime, ha deciso di rientrare.
Gli ho chiesto perché. “Ogni esiliato ha dentro un misto di rabbia feroce e desiderio struggente di tornare”, mi ha detto.
Ha fondato una Ong per aiutare i bambini, Jardin de los ninos. “Ce n’erano centinaia per le strade, sporchi, affamati, mezzi morti di fame”.
Trenta anni dopo, aiuta ancora quei bambini, e le loro madri, e chiunque abbia bisogno. “Ma non è assistenzialismo: perché le persone devono essere spronate a imparare a lavorare, a mantenersi, a essere autosufficienti, ad avere una dignità”.
Paolo ha mostrato un trailer del lavoro alla platea di Padova, molto applaudito. Nessuno ha chiesto a Emilio, in sala, alto e magro come un stelo, visibilmente turbato e rannicchiato in se stesso come un bimbo, quale fosse il trait d’union: dove trova un uomo torturato e quasi ammazzato da una dittatura la voglia di tornare nel Paese e aiutare i più deboli.
La risposta è banale, forse. Ma è la forza straordinaria che nonostante tutto fa ancora girare il mondo.

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