Il paradosso di Battiato e Grillo
Posted by gea in giornali e dintorni, politica e dintorni on March 27, 2013
Sull‘affaire Battiato penso che ci sia stata una ipocrisia vomitevole.
Ma ho già scritto questo, e quindi non mi ripeto.
(Se non volete leggerlo, un sunto.
Battiato dice quello che tutti pensano e lo cacciano, dopo averlo scelto perché era intellettualmente onesto e originale. Grillo insulta tutto il giorno il Paese, e domani gli lasciamo in mano le sorti del governo e della nostra economia).
Giudizio non universale
Posted by gea in gea and the city on January 31, 2013
E venne il giorno della distribuzione dei cervelli, e dio si dimenticò la lista.
Don’t ask me why
Posted by gea in gea and the city on January 28, 2013
– Come stai?
– Così così, ma se piango tutto oggi e tutto domani, mercoledì sarò in forma.
Pechino Dispacci #11
Credo che le foto del milite che fa la guardia al mausoleo di Mao e dei turisti in posa davanti all’Assemblea del popolo spieghino più cose di questo Paese di molte guide.
La differenza tra la Cina e le molte autocrazie pronte a scoppiare, o già scoppiate, sta in fondo tutta lì, nell’orgoglio con cui il cinese afferma la propria identità e differenza, e per cui è eternamente riconoscente al Grande Timoniere che ha riunificato il Paese ridandogli orgoglio e dignità.
Ovviamente le differenze non sono solo queste: qui, con un po’ di fortuna, si può stare bene e vivere una vita decente, con comodità crescenti e inimmaginabili fino a due decenni fa.
Il senso di progressione economica e la corsa verso il futuro annientano in molta parte il discorso politico e la richiesta di spazi di libertà maggiore: il Partito consente quasi tutto quello che uno che non ha mai avutoniente può desiderate. Il che, è implicito, non include la lettura del New York Times.
Come mi ha spiegato un insider, l’unica cosa che fa veramente incazzare la gente qui è quando l’arricchimento e gli abusi del governo limitano le possibilità dei singoli di arricchirsi e di progredire.
Dunque, la libertà di espressione, di informazione e persino di movimento al di fuori del territorio nazionale (il passaporto non è un documento: è un privilegio) sono ancora desideri di nicchia: una nicchia magari numericamente numerosa, per la consueta legge dei grandi numeri, ma credo onestamente ancora non statisticamente significativa.
Lo stesso insider ha aggiunto, e non mi pare un caso, che l’unica cosa che potrebbe fare saltare il tappo della Cina è l’arrestarsi della crescita economica nelle province interne, quelle per lo più ancora agricole e povere. Senza nulla da perdere, la gente di queste zone potrebbe scatenare un putiferio qualora la distanza tra sé e la popolazione elitaria delle città costiere (Shanghai su tutte) non dovesse colmarsi. Per la stessa ragione, a Shanghai (dove tutti hanno molto da perdere) oggi seguono con molta attenzione l’evoluzione della nuova guardia appena nominata alla guida della Cina per un decennio.
Se non sbaglieranno le loro scelte, probabilmente un altro decennio di pace è assicurato.
Pechino Dispacci #10 e tre quarti
Scorci.
L’uomo che fa la guardia al mausoleo di Mao (chiuso) e i turisti (cinesi) che si fanno le foto davanti al palazzo dell’Assemblea del popolo, piazza Tien An Men.
Pechino Dispacci #10
Nella metro di Pechino c’è una tale concentrazione di umanità e batteri che uno scienziato appena un po’ volenteroso potrebbe ricreare il big bang.
Pechino Dispacci #9
Io glielo ho buttata lì al proprietario del ristorante (consigliato sulle guide) che queste carpe qui non avevano un aspetto proprio eccellente per essere esposte nella vasca a dimostrazione di quanto è fresco il pesce…
Pechino Dispacci #8
Sono entrata in un negozio di dischi di Nanluo Guxiang, un hutong di Pechino rimesso un po’ a nuovo ma ancora abbastanza autentico. Suonavano i Velvet Undergorund, ragione per cui mi sono fermata, oltre al fatto in realtà che era il primo negozio propriamente di musica che vedevo (tutti vendono un miliardo di cianfrusaglie e magari anche cd di qualche copia locale di Cindy Lauper: questo vendeva solo dischi, e ben ordinati).
Insomma, sono entrata e ho iniziato a conversare con il commesso, non con il mio metodo consueto – io parlo italiano, l’altro cinese e vediamo se abbassa il prezzo o se mi molla nel posto giusto – bensì in inglese.
Il ragazzo, oltre ad avere una discreta conoscenza musicale – discreta per uno che non può accedere a YouTube perché è bloccato dal governo – aveva anche una certa padronanza linguistica, quindi gli ho chiesto di farmi vedere un po’ di roba cinese.
Mi ha messo su qualche disco e alla fine uno mi ha persino convinto (una versione pechinese e molto peggiore dei Sonic Youth ma comunque con un suo piccolo perché) e ho deciso di comprarlo.
Mentre tiravo fuori i soldi, non proprio pochissimi, mi sono chiesta a chi sarebbero finiti: alla band, all’etichetta (assolutamente sconosciuta), al partito?
Quindi, con una certa ingenuità, gli ho chiesto: Hey ma come funziona con la musica qui? È come la stampa? Deve passare attraverso la censura?
Lui ha preso a guardarmi inebetito senza parlare. Ho pensato non avesse capito.
No, dico, i musicisti, devono passare qualche controllo, chessò, c’è un ufficio apposta?
Silenzio.
Voglio dire, uno suona quello che vuole? Sono liberi?
Intanto è entrato un cliente. Scusa, il mio inglese non è così buono.