Scene da un agosto milanese


Ho sognato che lavoravo in una struttura simile a un campo estivo per studenti (ma poteva anche essere un campo di concentramento, il che la dice lunga sulla mia chiarezza mentale), e un giorno la nostra routine veniva sconvolta dalla notizia che la Germania era andata in default e lo aveva tenuto nascosto. Partivano i cacciabombardieri e una serie di ordini d’attacco, mentre io facevo chissà perché un dettato in inglese che iniziava con I think that life… Sarebbe stato bello sapere come finiva, ma il ventilatore ha smesso di funzionare e mi sono svegliata in un sudario.

Due giorni fa mi è andata peggio. Dormivo da un’oretta quando mi sono svegliata per caso. Non so come né perché, ma mi sono tirata su a guardare fuori dalla finestra. E fuori dalla finestra c’era una nuvola di fumo nero e decine di persone che mi gridavano di scendere e scappare.
Pensavo di essere turbata da quella mozzarella scaduta reperita poche ore prima in frigo e divorata senza ritegno, ma hanno iniziato a bussarmi alla porta di casa con tale intensità che ho temuto la sfondassero. Ho aperto totalmente rintronata in mutande – in perizoma per essere precisi –  e un ragazzo che da vero gentiluomo ha finto di ignorare le mie nudità mi ha detto di correre fuori, che il palazzo stava bruciando. Bruciando, sì.

Ho avuto il tempo di infilarmi al contrario una camicia, e volevo prendere su qualcosa di utile – metti che mi bruci la casa, almeno l’iPad lo vorrei salvare, con quello che costa – ma non ero abbastanza presente a me stessa, e per di più a quel punto già mi vedevo delle scene tipo Twin Towers con via Vigevano 1 che si accartoccia su se stessa e io che devo lanciarmi già da un ballatoio senza nemmeno un fotografo a immortalarmi per consegnarmi alla storia; insomma, alla fine l’unica roba che ho preso è stata la crema antizanzare. Trenta secondi dopo ero in strada con ai piedi due birkenstok di diverso tipo, addosso una camicia aperta e, temo, una fiatella pazzesca (la famosa mozzarella avariata, ricordate).

Un fotografo, in effetti, c’era: Niccolò. Ma senza macchina, e comunque io mi ero salvata. Il bar di Peppuccio no, però.

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    #1 by edo on August 6, 2013 - 09:20

    non so se piangere, rientrare immediatamente a milano o non tornarci mai più. non lo sò.

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    #2 by gea on August 6, 2013 - 18:49

    sereno.
    lui ale e una banda improbabile (dio, ma perché non c’è il corbetta, sai come sarebbe bello?) stanno lavorando alacremente ogni giorno al ritmo di moccoloni
    vedrai che quando torni andiamo felici e contenti

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