Le stories, invecchiare, il marketing


Ho capito di essere invecchiata il giorno in cui sono arrivate le Stories, e io non solo non ho avuto voglia di scoprire come funzionassero, ma mi è parso ridicolo farlo, un po’ come dieci anni prima mio fratello  – 11 anni più anziano di me – mi domandava sbigottito perché scrivessi i fatti miei su Facebook. 
Appurato che sono invecchiata, il mio senso di imbarazzo nei confronti degli adulti che dedicano minuti a creare affreschi multimediali a durata limitata scegliendo musica e colori, e ovviamente il lato migliore di sé, si fa più grande ogni giorno; ma si fa più grande anche la consapevolezza che forse mi sto comportando come i reazionari, quelli che storcono il naso di fronte alle cose nuove, e le ridicolizzano perché non sanno come prenderle. 
E no, non sono capace di dire “ma chissenegrefa, fai come credi e lascia che gli altri facciano”, perché sulle Stories si reggono ormai investimenti di marketing milionari, vetrine e isterie digitali, e io ho un problema serio con l’idea che qualsiasi spazio diventi qualcosa da vendere, uno strumento per convincere la gente a comprare quello di cui sovente non ha bisogno, o per mettersi in vendita. Persino quegli spazi che dopo 24 ore scompaiono.  
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