Il mio rapporto con il denaro è basilare: finché ne ho lo spendo. Non che compri molto: negli ultimi due anni, a dire il vero, ho quasi smesso. Ma ho scoperto che è facilissimo spendere per evitare di comprare. Se Aristotele fosse vissuto abbastanza per confrontarsi con la questione, anzi, lo avrebbe certamente inserito tra i sillogismi pret à consommer: mi è debitore.
Per esempio. Nonostante nei miei 30 metri quadrati da giugno a ottobre ci sia la stessa temperatura di un bagno turco, ho sempre rifiutato di cedere alla prepotenza dell’aria confezionata. Chiunque entri in casa, mi ripete boccheggiando tra rivoli di sudore che è una cosa insopportabile, devo assolutamente acquistare un condizionatore. Ma io resisto fieramente da anni: buttare via centinaia di euro per un mostro rumoroso ed energivoro mi sembra una sciocchezza totale.
Tra i 40 gradi della mia umile magione e il ghiaccio artico dei Pinguini da appartamento, ho scelto un compromesso eccellente: trascorrere le mie serate ai tavolini di bar e ristoranti affacciati sui Navigli. La mia estate scivola via tra una birra, una coca cola, una pizza, un primo, un piatto di frutta, un sushi, un gelato e ogni sollievo che i ristoratori sanno offrire. Non proprio regalato, ma chi se ne importa.
Insomma, finché ce n’è apro il portafoglio e pago. Finché non mi chiama la banca, di solito. Oppure, fino a quando con un inusitato moto di coscienza, controllo il saldo del conto.
In partenza per Lampedusa, stamane ho avuto la scellerata idea di fare una di quelle verifiche, e mi ha travolto la consapevolezza che la telefonata della banca è imminente. Nonché inevitabile: la permanenza sull’isola darà all’anoressico porcellino il colpo ferale.
Quindi, mi sono recata al supermercato per gli ultimi acquisti con il fardello a gravare sul cuore. E ho trascorso sei minuti di orologio davanti alla distesa indistinta dei bagno schiuma, indignata che potessero arrivare a costare 2 euro e 79 centesimi. Stavo lì a guardarli e non mi capacitavo del furto, traducevo l’importo in lire e pensavo che 5.500 lire non le avrei spese mai, per un neutro roberts qualsiasi. E allora spostavo, confrontavo i prezzi, cercavo l’offerta, ho persino guardato se con la tessera di socia ci fosse qualche maxi sconto: nulla.
Ho optato per il miglior compromesso tra costo e quantità: 1 euro e 56 centesimi. Ma mi sono sembrati comunque tantissime. Più o meno un trentesimo di quello che ho speso ieri sera per qualche pezzo di pesce crudo e una birra. Cose dell’altro mondo.
l’annosa questione del debito
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