Da quasi dieci anni vivo sopra la Darsena, a Milano: se mi affaccio alla finestra della stanza vedo tutto il panorama del quartiere, da piazza XXIV Maggio a piazza Cadore.
All’inizio trascorrevo lunghe mezz’ore a guardare fuori dal vetro, anche se quello che fu nel suo momento di splendore il terzo porto per movimentazioni merci del Nord Italia (dopo Genova e Venezia) era già in uno stato di avanzatissimo abbandono.
Ai tempi del mio arrivo in via Vigevano la Darsena era ridotta a uno stagno casuale, formatosi per il residuo delle piogge, nel quale avevano traslocato un certo numero di nutrie e una serie di uccelli tipo anatre – dico tipo perché non è che fosse il laghetto di Central Park, con specie da curare: più facile che si trattasse di qualche piccione transgenico – nascosti tra giunchi ed erbacce. Un inverno vennero a trovarmi amici spagnoli e passarono metà del tempo a raccontare di quanto fosse sorprendente la natura fuori dalla mia finestra: ma si capisce, la bolla economica aveva già fatto esplodere Madrid e il ritorno al pauperismo naturalista sembrava quasi un rifugio obbligato.
In realtà anche così malconcia la Darsena aveva un suo fascino, anche se non tale da oscurare il sollievo quando, a Expo assegnato, annunciarono che l’avrebbero risistemata.
Per i cinque anni successivi ho atteso un segno, chessò, un progetto da guardare, qualche cartellone affisso vicino a casa, magari persino l’inizio dei lavori: nulla di nulla. Di sera gli adolescenti continuavano a lanciare dentro le lattine di birra vuote (quando non rottami di scooter); gli ubriachi si sporgevano fuori dalla balaustra per fare la pipì e quelli che speravano nell’apprezzamento del mercato immobiliare potevano solo continuare a sperare.
Infine, l’anno scorso, meno sedici mesi all’inaugurazione dell’Expo, un pomeriggio è successo tutto: gli operai sono arrivati, hanno bloccato la circolazione del quartiere, circondato tutta l’area di paratie oltre le quali fosse impossibile sbirciare, annunciato che per mesi qualche strada nei pressi sarebbe stata chiusa “causa lavori” e poi se ne sono andati, lasciando in dono le immagini della stupenda Darsena che sarebbe diventata.
Io stavo partendo per il Brasile e per un fugace istante mi sono illusa: «Che fortuna essere via proprio quando devono trivellare e fare casino». Ma 40 giorni dopo, al mio ritorno, non era successo assolutamente nulla.
Ho iniziato ad andare e venire da Milano frequentemente, e ogni volta che rientravo in casa la prima cosa che facevo era guardare in giù, verso la Darsena, per verificare l’avanzamento del cantiere: da sotto, al livello della strada, era impossibile, ma da quassù si poteva capire come andavano le cose. O, meglio, come non andavano le cose.
Così, ho iniziato a scattare foto e a condividerle sui social. La prima è stata questa:
(per vederle tutte, andate su @geascanca su Twitter o @bellagea su Instagram).
Son passati i mesi e la situazione non è cambiata granché: almeno non apparentemente. Nel frattempo è venuto fuori il pasticciaccio delle infiltrazioni ‘ndranghetiste e anche il cantiere della Darsena è risultato essere inguaiato, finché non lo hanno dovuto commissariare. Tuttavia, almeno a vederlo dall’alto, tra il pre-commissariamento e il post-commissariamento cambiava solo il numero delle piramidi di sassi abbandonate in mezzo allo spiazzo, nonché la posta sulle scommesse sulla possibilità di finire davvero l’opera: ça va sans dire, se fosse stata terminata il fortunato scommettitore avrebbe incassato una fortuna, giacché gli ottimisti non sono mai stati molti.
A tre mesi dall’inaugurazione dell’Expo, ossia il 5 febbraio, a guardare fuori dalla finestra il panorama era il seguente: capirete perché il banco pagasse altissimo la chiusura lavori.
Poi, però, è successa una cosa strana.
Due sabati fa, il 24 marzo, ero in partenza per la Toscana e, nonostante fossi di pessimo umore, mi sono ricordata di scattare la consueta foto di aggiornamento. Quel giorno, anzi, ne ho fatte due, la seconda da una prospettiva diversa, mentre camminavo verso la macchina.
Esattamente cinque giorni dopo ero a cena ad Arezzo da un amico che ha seguito il mio cronoreportage sulla Darsena. «Incredibile, ho visto che hanno finito i lavori», ha buttato lì mentre sbocconcellavamo l’insalata. «Macché, figurati», ho risposto scettica, mostrando gli ultimi scatti sul telefono. «Ma allora questa cos’è?», ha chiesto perplesso, aprendo a sua volta la foto qui sotto. L’aveva postata un’amica comune, su Instagram: piena di filtri sì, inusitatamente romantica certo, ma indubitabilmente immortalava quello che centoventi ore prima, minuto più minuto meno, ancora era – e appariva – impossibile da credere.
Non ho saputo rispondere, se non alzando le spalle e invocando il consueto miracolo italiano. Ma ho fatto fatica a credere alla fine degli lavori finché non sono rientrata a Milano.
Mi sono precipitata alla finestra appena entrata in casa: certo, senza il tramonto, i filtri e i cirri nel cielo il paesaggio era un po’ meno Sturm Und Drang, ma la Darsena era quasi finita. Mancavano i contorni, ma c’era l’acqua ed erano sparite le tonnellate di detriti.
Mi sono chiesta come avessero fatto, anzi, ne ho anche diffusamente parlato con alcuni amici e scherzando abbiamo buttato lì l’ipotesi che avessero semplicemente aperto i rubinetti, versando l’acqua sopra a tutto il resto (non è andata così, certamente. Spero).
Poi oggi al tigì ho sentito che è stato un intenso week end di giri perlustrativi al cantiere principale dell’Expo: sabato è andato il sindaco Pisapia, che si è detto ottimista sulla possibilità di finire quasi tutti i lavori prima dell’inaugurazione, e ieri è andato Cantone, che invece non si è espresso.
In coda al servizio, il cronista ha spiegato anche che da oggi in poi il sito sarà chiuso ai giornalisti: in questi ultimi 23 giorni nessuno potrà entrare a vedere come procedono i lavori. Per sapere bisognerà aspettare il giorno dell’inaugurazione, il 1 maggio.
Mi è balenato il sospetto che forse l’idea che abbiano semplicemente riempito la Darsena nottetempo, mentre nessuno vedeva, non è poi così bislacca. Magari faranno lo stesso col sito principale: monteranno le cose in modo da coprire quelle non finite. Una specie di cantiere nel cantiere, fuori perfetto, dentro sottosopra. Senza che nessuno controlli e possa segnalarlo.
Ma sicuramente mi sbaglio su tutta la linea.