E comunque mi convinco sempre più che ci sia una correlazione diretta tra l’indisponibilità di molti Stati e governi a spendere in missioni (im)possibili e la progressiva resa dell’essere umano, il suo ritagliarsi un confortevole angolo di mondo dal quale guardare il proprio ombelico. L’Italia è l’emblema assoluto di questa regressione.
Tutte le grandi esplorazioni della storia sono state finanziate da sovrani e nazioni: basti menzionare quelle di Colombo e Magellano, il mastodontico progetto cartografico del Beagle (l’imbarcazione su cui, peraltro, viaggiava Darwin), la spedizione scientifica del Comodoro Byron e persino – in anni più recenti – il programma Romanche con cui il governo francese organizzò un’osservazione del passaggio di Venere in vari punti del pianeta.
L’ultima grossa corsa alla scoperta è stata quella spaziale, sostanzialmente abbandonata non a caso quando i soldi erano finiti (e la Guerra Fredda anche). E va bene, ora forse il pianeta Terra lo conosciamo, ma la quantità dei progetti su cui si potrebbe investire è immensa. E penso non solo banalmente alla ricerca medica, ma anche a progetti scolastici come gli scambi tra popoli e nazioni, cose magari banali ma che potrebbero realmente forgiare la mente della nuove generazioni come una volta faceva il viaggio esplorativo. Chissà, forse se tornassimo a investire in progetti (im)possibili alleveremmo prodigi e non Jihadi John.