Archive for category viaggi
fatevi del bene
Posted by gea in gea and the city, viaggi on August 27, 2011
Ragazzi, fatevi del bene, andate a vedere un po’ delle foto che ha fatto edo tra israele e palestina. E no, non sono morti e cose tristi. Ché a fare piangere sono capaci tutti, a fare ridere e pensare invece ci riescono solo quelli bravi.
Palestina/Dispacci#6
Il primo giorno della nuova vita. Quello in cui capisci che ci sono troppe cose, al mondo, per perdere tempo con le piccolezze, le rotture di scatole, i dispetti, le ripicche, le ansie da prestazione, le malignità. C’è troppa energia da assorbire, e restituire sotto forma di volontà.
Al resto ci pensa il tempo. Poco o tanto che sia.
Palestina/Dispacci #5
Posted by gea in Dispacci, politica e dintorni, viaggi on July 29, 2011
Non è facile trovare qualcosa da ascoltare quaggiù. Qualcosa che non rompa l’armonia scomposta di bambini sempre sorridenti e genitori troppo sospiranti, colline di sabbia, militari distratti, muri di cemento e filo spinato.
Io riesco solo a mettere su Bob Dylan e The joshua three – per il verso profetico I wanna tear down the wall that holds me inside, certo, ma soprattutto per il titolo dei titoli nei secoli: Running to stand still – oltre a Let down, unica canzone al mondo che dove la metti, sta.
E comunque perdonate se non scrivo, ma è come se fossi così piena di cose da non sapere come farle uscire. In Palestina ci sono troppe ingiustizie e troppa forza nell’affrontarle, per una scribacchina come me. Troppa gente che ti prende in casa come fossi una figlia, ti offre narghilé sui tetti la sera, incarta i resti di un banchetto perché tu abbia da mangiare.
È un posto troppo generoso, per quello che riceve dal mondo. E la disparità è un fardello grave da portare, per chi sceglie di essere qui e non ci è costretto dalla storia.
Amman/Dispacci # 3
Rispetto al delirio di Amman, Beirut sembrava quasi Bruxelles. Prendi un paesotto di 6 mila anime in mezzo al deserto e fallo crescere fino a 1 milione e mezzo di abitanti in un secolo, con un tasso di natalità annua del 3,5%.
Il risultato è un agglomerato mostruoso di cemento, polvere e rumore, piccoli commerci e baracche di lamiera e plastica.
Quando sono arrivata, una settimana fa, ho pensato che non ne sarei uscita viva. Oggi contratto con i tassisti il prezzo delle corse con tanta insistenza che uno l’altro giorno mi ha detto: “Non è vero che sei italiana, sei araba”.
L’ho preso come un complimento.
La verità è che devo avere davvero un gene arabo affogato in mezzo al Dna, capace di venire fuori quando necessario. D’altra parte mio padre è siciliano, una contiguità storica c’è.
Ho girato il Paese in lungo e in largo e sono quasi pronta a fare il salto dall’altro lato: la West Bank e, spero, Gaza.
Credo di poter sopportare tutto, o quasi. Sto solo un po’ sbarellando con la musica: il fixer che mi sono trovata ascolta canti sauditi da mattina a sera, roba che in confronto Feiruz è Coccoluto. Oggi, sotto il sole cocente di mezzogiorno, alla quattrocentesima volta che la cassetta faceva il giro, l’ho supplicato di cambiare. Non ha cambiato.
Non riesco a scrivere qui sopra quanto vorrei, mi manca realmente il tempo. Ma se leggete Lettera43 ci trovatevparecchio di quello che mi sta passando sotto gli occhi. Domani scendo in piazza con i manifestanti. Sperate che se ne stiano buonini.
Amman_Dispacci 1 e 1/2
Dimenticavo. Amman è senza acqua dalle 14. Sono le 23 quasi. Con 45 gradi e un’alimentazione a base di ceci, non è esattamente gradevole.
Amman_Dispacci #1
Amman è un’immensa distesa di cemento ocra in mezzo a un deserto ugualmente ocra.
Non ci sono colori, né monumenti da usare come riferimento quando ci si perde nel dedalo dei suq. Non ci sono moschee a stagliarsi all’orizzonte. Non c’è nemmeno un vero palazzo reale, da additare come segno dello scollamento tra il sultano e la gente.
Ci sono solo centinaia di miglia di case a due piani, nude, cotte dal sole, abbarbicate sui jabel, colli, appiccicati l’uno all’altro come certe case di Spaccanapoli.
I giordani sono gente di una semplicità che quasi ferisce. Hanno accolto i palestinesi. Hanno accolto gli iracheni. Hanno accolto i siriani.
Oggi accolgono la povertà e la siccità come il volere di Dio. Un dio in cui forse nemmeno credono più, ma comunque puntello di un’esistenza che scorre su binari tracciati da un disegno troppo alto per poterlo discutere.
Non sono pronti per una rivoluzione. In compenso sono certi che in Libia tutto sarà finito entro il ramadan, il 30 luglio. Ho chiesto perché, ma non lo vogliono dire. Domani forse incontro qualcuno che me lo spieghi.
Viva la semplicità/1
Posted by gea in alla rinfusa, viaggi on July 13, 2011
zsia, ma chi zono quei bambini nelle foto?
Sono bambini poveri Titto.
E pecché?
Perché sono sfortunati. Vivono in posti in cui non ci sono le cose che hai tu, e non hanno nemmeno da mangiare.
E quando tu vai via pe’ lavoro vai dai bambini poveri?
A volte sì Titto. O magari li incontro anche se non vado solo per loro.
Zsia ma tu sei amica dei bambini dei poveri?
Sì, diciamo di sì Titto.
E che lingua parlano i bambini poveri?
Mah dipende dove sono. Quelli dove vado la settimana prossima parlano arabo.
Szia ma tu lo parli l’arabo?
No, Titto.
Szia, allora secondo me tu non sei amica dei bambini poveri.
la revolucion
Posted by gea in gea and the city, viaggi on May 19, 2011
Mi mandano a Madrid a seguire la Tahrir spagnola.
Andare alla revolucion con la Cooked è un sogno che diventa realtà.
Marocco/2 – ma c’è di meglio
Posted by gea in giornali e dintorni, viaggi on April 30, 2011
Ho detto che avrei scritto del Marocco, ma in realtà le cose più interessanti le ho già messe su Lettera43. Per le considerazioni liminari rimando a un momento di maggior ispirazione. Ho appena letto questo pezzo stupefacente di Sebastian Junger sull’amico Tim Hetherington – il fotoreporter morto a Misurata un paio di settimane fa – e ho perso le parole, ecco.