Archive for category politica e dintorni

Libertà è partecipazione

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Torino, 10 maggio 2014

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Bahia/Dispacci #4

Sono uscita all’alba prima che il panico generale per lo sciopero della polizia si facesse largo anche in me, mio malgrado. Tutto era quieto. I primi negri stavano aprendo le loro botteghe, spingendo i miseri baracchini al ritmo di Bob Marley o leggendo i giornali al fresco dell’atrio dei palazzi della Ladeira.
C’era un’energia intensa nell’aria, una calma ferma e satura di storia. Mi sono seduta per terra al centro del Pelourinho, dove fino a 140 anni fa gli schiavi venivano venduti, con i cavalli e gli acarajé, e ho messo le mani aperte sui ciottoli, cercando di assorbire l’energia della terra.
Tre minuti di condivisione totale.
Mi sono sentita bene.

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Rio/ Dispacci #fuoriserie

Alzarsi ogni mattina con il sole in fronte e la foresta a un passo; accendere internet per aggiornarsi sull’Italia e scoprire che Berlusconi avverte Renzi, Berlusconi rompe il patto, Berlusconi all’ospedale, Berlusconi è finito, Berlusconi ha paura.
A volte le cose sono questione di prospettiva; la mia è che se quella è politica, ne faccio serenamente a meno.

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Rio/ Dispacci #3

E quindi, Lula è stato un buon presidente?
Lula è arrivato che non aveva le scarpe, ora va in giro con quelle fatte a mano dagli italiani.
un tassista e il dono della sintesii

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Twitto, dunque esisto

Sto per dire una cosa reazionaria, e per di più proibita tra coloro che – come me – si guadagnano da vivere (anche) grazie a Internet e affini. Non solo: sto per dire una cosa terribilmente banale, che squalifica il dibattito vivace e interessante (qui e qui e qui qualche esempio) che da tempo i migliori osservatori (incluse persone con le quali ho lavorato fianco a fianco) dicono sul web e sulle possibilità che permette, oltre che sul mondo che ha creato.
In realtà, e qui sta un primo punto, riassumendo in modo grezzo e dozzinale parte della migliore riflessione sulla rete, si può dire che Internet non ha creato nessun mondo, ma è il mondo: nel senso che su Internet normali persone che fanno e farebbero comunque la loro vita creano rapporti, interagiscono con altri, scrivono e leggono cose, con i difetti che verosimilmente hanno anche in qualsiasi altra interazione quotidiana con il panettiere, il compagno di banco o il capo azienda.
Eppure, e qui sta un secondo punto, se l’osservazione è vera in assoluto, c’è una categoria per la quale paradossalmente è meno vera che per gli altri. E sono i giornalisti. I giornalisti sono una categoria strana, e parlarne è sempre complesso: un po’ si rischia di fare una difesa ridicola del passato, un po’ si rischia di fare una difesa generazionale altrettanto ridicola. Certamente è vero però che gli anziani del giornalismo se ne sono allegramente sbattuti di Internet, e hanno infine preso a usare twitter e affini soltanto per non farsi dare dei dinosauri fuori dal tempo. Quelli della mia età – i 30/40enni – ci sono rimasti in mezzo, presi tra la fascinazione del passato (il giornale su carta, i tempi dilatati, la possibilità di andare in giro a vedere prima di scrivere eccetera eccetera) e la necessità di buttarsi in un futuro che ancora non è definito, perché l’unica cosa certa nella tempesta dell’industria editoriale è che la soluzione è lungi dal venire, e che tutte le sperimentazioni del momento sono appunto solo sperimentazioni, ma non sono né la via di uscita né l’assetto futuro di un settore che non sa più dove sbattere la testa.
E qui, infine, arrivo al dunque. In questa seconda categoria, la rete ha creato dei mostri. Una ricognizione su Twitter lo spiega benissimo (lasciamo perdere la questione ermeneutica, il fatto che nessuno ci obbliga a leggere tutto, che si può scegliere chi seguire e quant’altro): l’esigenza della visibilità fa sì che orde di giornalisti, aspiranti tali o persone che comunque di quello vivono o vorrebbero vivere, riversino qualsiasi cosa sul social network. Non solo pensieri propri, o condivisione di altri, ma anche scambi di battute, interazioni a due, banalità di sorta. Più nel dettaglio, mi pare che esista una sorta di presenzialismo su Twitter, per cui diventa obbligatorio dimostrarsi attivi. La regola del twitto, dunque esisto, che risponde in parte ad alcuni meccanismi del reclutamento dell’industria editoriale e dei suoi contenuti, spesso però sfiora il ridicolo. Mi capita di soffermarmi sulla timeline di persone che conosco e di scoprire che ogni 15 secondi stanno twittando qualcosa. Pur di esserci. Vale anche per i politici: Gasparri (@gasparripdl), Brunetta (@renatobrunetta) e lo stesso Renzi (@matteorenzi) sono tre esempi calzanti.
Ma sui giornalisti (o gli aspiranti tali, o tutti gli altri di cui sopra) l’effetto è – almeno per me – un po’ patetico. Lo trovo quasi imbarazzante: si fa gomiti per guadagnarsi il proprio angolo di visibilità, in modo quasi ingenuo. Sapere usare i social network oggi è fondamentale, in quasi tutte le professioni. Non riuscire a staccarsi dall’esigenza di apparire è inopportuno.
Resta che twitter è divertente e utile, che anche io ho un profilo (@geascanca), che qualcuno troverà me inopportuna, che magari qualcuno di quelli che io trovo ridicoli diventerà il nuovo guru dei tre mondi. Può essere tutto, e io mi sbaglio spessissimo. A me, comunque, vedere uno che twitta ogni 13 secondi, magari anche del divorzio con la moglie, fa pensare male.
Ma l’avevo detto che sono reazionaria, su certe cose.

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L’oro di Dongo

Siamo andati a Dongo, il 25 aprile. E poi a Mezzegra. E poi a Giulino di Mezzegra, dove Mussolini e la Petacci furono ammazzati.
Un signore ci ha raccontato una storia lunga, di un Paese in cui ancora non si sa la verità e la memoria sbiadisce col tempo.
Il paradosso di una Repubblica fondata su un mistero.

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Il paradosso di Battiato e Grillo

Sull‘affaire Battiato penso che ci sia stata una ipocrisia vomitevole.
Ma ho già scritto questo, e quindi non mi ripeto.

(Se non volete leggerlo, un sunto.
Battiato dice quello che tutti pensano e lo cacciano, dopo averlo scelto perché era intellettualmente onesto e originale. Grillo insulta tutto il giorno il Paese, e domani gli lasciamo in mano le sorti del governo e della nostra economia).

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Vis à vis

Quei faccia a faccia con la storia che non dimentichi più

Jacques Le Goff

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Sulla strada

Deve esserci una ragione per cui ogni volta che allontano mi dalla sinistra (che, intendiamoci, non vive in Italia, né a nord né a sud), la vita mi manda un segnale. Tipo amici licenziati in tronco perché i margini aziendali non ci sono più, o famiglie di quattro persone che erano classe media fino a dodici mesi fa in cui adesso entrambi i genitori sono senza lavoro, un figlio va ancora a scuola e l’unico che porta a casa lo stipendio è un 25enne pagato decisamente meno dei limiti contrattuali per lavorare molto di più dell’orario previsto.
Se credessi in Dio, direi che mi rimette sulla giusta strada. Invece deve essere quella roba che si chiama coscienza.

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Nomenklatura

Mi hanno chiamato a moderare un dibattito moderatamente di rilievo (fatemi fare la paracula: mettete pd + me stessa + mediterraneo, e spunta fuori).
Dirò qui perché penso di non modernarne mai più un altro: perché ti chiamano per farti sigillare i loro piccoli comizi rendendoti inevitabilmente di parte.
Dirò qui perché potrei tornarci: per vedere l’apparato da dietro le quinte. E imparare cose che noi umani non sapremo mai.
Nomenklatura: viaggio tra i tavoli buoni del Pd

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