Archive for category personaggi

Requiem

Per anni ho messo in valigia un libro di Tabucchi in ogni mio viaggio: si trattasse di andare dai miei al mare o dall’altra parte del mondo.
Lo scoprì in Spagna, che ero già grande e lui famoso. Con il naso nelle sue pagine, da cui non riuscivo ad alzarmi per ore intere, capì cosa voleva dire raccontare i turbamenti dell’animo e della vita con colori, atmosfere, profumi, sapori, città, fantasmi.
Le parole non erano mai troppe; i luoghi non erano mai abbastanza.
Mi insegnò ad amare il Portogallo e Pessoa, dei cui segni andai in cerca con una combriccola sgangherata di amici appena ventenne. Mi insegnò che si potevano costruire interi mondi, giocando con le parole. Mi insegnò che in un libro poteva esserci tutto quello che avevo cercato senza riuscire a trovarlo altrimenti.
Mi innamorai di Tabucchi come ci si innamora di un fidanzato. Lessi tutto quello che aveva scritto nell’arco di un mese. E poi aspettai, con pazienza, articoli, nuove uscite, riedizioni.
Tabucchi è morto ed è la prima volta che muore uno scrittore e mi sento orfana di qualcosa. Di ingiustizie è pieno il mondo e la vita, ma sapere che non scriverà più nulla è un’ingiustizia in più.

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Io a questi gli meno

Di seguito uno degli estratti più pregevoli delle intercettazioni odierne. Perché se il valore di una nazione si giudica da come parlano i suoi, bè, telefonalo toglie ogni dubbio ad agenzie di rating e affini.
«Vabbè, ma telefonalo scusami. Telefonalo e scagliati contro di lui ufficialmente, dammi retta a me, ti prego, fallo» (Valter Lavitola).

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Il balsamo per le coscienze

La cosa fantastica di Berlusconi è che alla fine è socialmente utile. Consente anche ai ricchi di votare a sinistra: tanto lo sanno che finché c’è lui al potere un condono spunterà sempre. Così possono sentirsi ontologicamente migliori senza correre il rischio di rinunciare al maxy yacht a Saint Tropez.
Un balsamo per la coscienza agratis: dici niente.

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Ho perso le parole

Ti puoi anche sforzare di leggere e viaggiare e studiare tutto (che poi, tutto). Ma un giorno incappi in un Bernardo Valli così, su un Tiziano Terzani oltre-il-mito, e capisci che comunque il tempo non ti basterà mai. E magari fosse solo questione di tempo.

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La caduta degli dei

Volevo scrivere un pezzo su Vasco, di cui ieri ho visto forse il decimo concerto della mia vita. E, duole ammetterlo, il più penoso.
Poi mi hanno chiesto di scriverlo per il giornale.
Quindi eccolo: Vasco, non sarebbe l’ora di smettere?

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un matrimonio albanese

Era solo per ricordare
l’ultimo verso dell’Infinito
e i tuoi occhi come lo stagno
e una carezza sul tuo vestito
Poi d’improvviso tutti gli anni per terra
come i capelli dal barbiere
Come la vita che non risponde
e il tempo fa il suo dovere


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Piazza Tahrir, Milano

Sono stata alla manifestazione di Libertà e Giustizia, proseguimento ideale di quel Resistere! Resistere! Resistere! con cui Borrelli quasi dieci anni fa risvegliò le coscienze italiane già assuefatte al berlusconismo.
Ci sono andata combattendo la stanchezza e la pigrizia, ma ne sono uscita rigenerata.
C’erano dieci mila persone. C’era l’Italia che non solo non si rassegna, ma sa fare chiarezza in un presente deviato e pruriginoso. C’erano oratori di capacità eccezionale, da Gustavo Zagrebelsky a Umberto Eco, passando per Roberto Saviano, Concita De Gregorio,  Susanna Camusso. C’era la voglia di insistere: per riprendersi, prima ancora dell’Italia, dei temi di discussione degni di questo nome. Non il Bunga bunga ma il lavoro, i giovani, la cultura. In un crescendo di consapevolezza.
Ha parlato Loretta Zanardo, l’autrice del documentario Il corpo delle donne, summa spiegazione della società dell’immagine che crea ragazzine anoressiche e 16enni che prendono 9mila euro a sera per farsi guardare dal presidente del consiglio.  Tra le molte cose intelligenti che ha detto (“Un altro corpo è possibile” diventerà il mio mantra), mi ha colpito l’invito a non spegnere la televisione come gesto di egoismo e autodifesa. Ha spiegato, in sostanza, che finché le persone dotate di senno e capacità critica continueranno a rifiutare di entrare in contatto con i mostri che la tivù ha prodotto – da Non è la Rai a Uomini e donne c’è solo l’imbarazzo della scelta – sarà impossibile capire quanto e perché tutto sia precipitato. Bisogna conoscere il nemico, per abbatterlo. E bisogna aggregarsi per trovare il coraggio e la volontà di articolare una risposta forte e comune.
Lei lo ha fatto producendo il film, che oggi è diventato materia di studio in molte scuole. E’ illuminante per capire la condizione femminile e, più in là, anche certe forme degenerative dei rapporti interpersonali: fino ad arrivare ai festini di Arcore.
Concita ha letto il fondo che aveva scritto per l’edizione odierna dell’Unità: un pezzo stupendo, lucido e commovente. Da stampare e appendere sopra al letto, come una poesia che si recita nei giorni tristi.
E mentre Moni Ovadia invitava tutti alla mobilitazione permanente, ché di questo c’è bisogno oggi, per un secondo mi sono sentita parte di una resistenza. Gad Lerner dal palco aveva appena dato notizia delle dimissioni dal vertice del partito di Mubarak, e ho pensato che, con le dovute proporzioni, il Palasharp in quel momento era la nostra piazza Tahrir. Senza carri armati ed esercito, ma comunque segno di una rivoluzione delle coscienze. Di un Non ci sto tracimato dagli animi esausti, da vite segnate in molti modi da vent’anni di scempio politico, umano e istituzionale. E di diritti negati: perché anche quello al giusto salario o alla possibilità di mettere al mondo un figlio è un diritto inalienabile.

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fuoriclasse

Ma se scrivo per altri vent’anni, divento brava così?
(nel dubbio, ho rinnovato l’abbonamento a Gq)

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Dicevano, pensi, di essere sfruttati

La scena degli operai di Mirafiori che ballano e festeggiano e alzano i pugni a tempo di musica demodé mentre aspettano i risultati del referendum mi stringe il cuore. Senza retorica o falsa empatia. Semplicemente, mi fa male al petto.
Per buona parte della notte, i no all’accordo hanno prevalso: e loro si davano pacche sulle spalle, sorridevano e sostenevano a vicenda, illudendosi, per qualche ora, di aver fatto la rivoluzione sul serio. Di aver costretto il capo quantomeno a capire che non li può trattare come cose: che potrà anche fotterli, ma loro lo sanno, non sono cretini. E sono stati disposti a giocarsi la fabbrica: cioè il lavoro, la vita, la dignità.
Poi gli impiegati hanno dato il loro contributo alla questione, e hanno scelto il sì: forse perché l’accordo a loro intacca poco, mentre la chiusura della fabbrica sì.
Ognuno ha fatto per sé, e Marchionne ha fatto per tutti. Io l’ho difeso, molto tempo fa. Ne sono amaramente pentita.

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Be the trouble you want to see

Lo confesso. Mentre la gente oggi si rompeva la testa a cercare di capire se un manipolo sgrarrupato di affaristi, analfabeti, ignoranti, massoni, doppiogiochisti, pecorari, commedianti, puttanieri, delinquenti, ignoranti e probabilmente dimentico qualcosa riusciva a tenere in piedi un governicchio del Paese delle banane, sono andata a vedere una mostra stupenda di foto di Mick Jagger.
La mia preferita è questa qui a lato di Simone Cecchetti. Poi, ho passato il resto del tardo pomeriggio a leggere la classifica delle 500 canzoni migliori della storia stilata da Rolling Stone Usa. E godendo che le prime due fossero per inciso dei miei artisti più ascoltati dell’anno – Dylan e gli Stones – ho riflettuto anche sul fattore Sting/Police. Perché il terzetto Sting-Copeland-Summers ha suonato delle cose che ancora oggi mi fanno venire i brividi (Do I have to tell the story of a thousand rainy day since we first met?) e Sting da solo mi dà l’orticaria, l’istinto di scaraventare l’iPod per terra e voglia di metter su Tiziano Ferro?
Queste sono le domande che contano. Altro che Casini entrerà nel governo. Chissé ne frega se ci entra, non spererete mica che possa fare meglio o peggio dello schifo che già c’è.

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