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Lpnc: ode, inno, momento iniziatico

Due cose possono far decollare o compromettere irreparabilmente il mio stato d’animo di prima mattina: il tempo e la musica. Sul primo, ça va sans dir, non c’è molto che possa fare, specie considerato che a Milano da ottobre a febbraio il cielo è normalmente espressivo come un blocco di ghisa; la situazione migliora in estate, ma esiste comunque il rischio che la constatazione di dover andare a lavorare mentre il sole si alza su mare e spiagge riesca a deprimermi in modo inconsolabile. La gravosa incombenza di trainare il mio umore, insomma, spetta solo all’amico iPod.

Dati i fatti, molte persone sane di mente correrebbero ai ripari alternativamente andando a vivere nel Caribe (opzione inverosimile) o scegliendo con accuratezza la playlist mattutina (opzione verosimile). Ma con quale perdita? Indovinare cosa uscirà dalle casse una volta cliccato su shuffle songs è uno dei piaceri più grossi della vita, un brivido di suspance simile all’apertura di un regalo inatteso: magari è una cagata pazzesca, magari invece la persona in questione ti conosce talmente bene da aver scelto qualcosa che volevi da tempo. Può essere anche che abbia azzeccato solo per fortuna, comunque sempre parecchio gradita. Di fatto, traslando la metafora, non ho mai capito – e le mie infime nozioni di matematica e qualsiasi cosa le sia affine mai mi consentiranno di capire – quale sia la logica secondo cui l’iPod butta fuori la prima canzone: perché è chiaro che c’è un algoritmo dietro (fino a lì ci arrivo anche io) ma è innegabile anche che a volte l’amico lettore sembra sapere proprio di cosa hai bisogno, e ti stende o ti tira su con colpi perfetti, precisi, mirati, diretti. Tanto per dire, Hallelujah – versione Jeff Buckley, mi perdonino i puristi di Leonard Cohen – buttata lì nelle notti insonni e popolate di pensieri, o Il cielo è sempre più blu mentre prendi la moto per andare al mare: sono cose che fanno la differenza.

Insomma, sul finire dell’anno è tempo di tirare le fila di tutte le canzoni che nei dodici mesi trascorsi sono state cruciali; nella buona e nella cattiva sorte, in ricchezza e in povertà, in salute e in malattia. Il bilancio non è semplice: come insegna Nick Hornby, le classifiche sono tra i compiti più ardui con cui confrontarsi. Stabilire le dieci canzoni dell’anno potrebbe farmi ammattire, oltre a indurmi infiniti ripensamenti, con un senso di colpa nei confronti dei meritevoli ingiustamente esclusi (per esempio: Weird Fishes merita ancora un posto nella top ten del 2009? Ormai è vecchiotta. Epperò).

Così da qualche giorno mi aggiro con un bigliettino sul quale appunto titoli, momenti, ritornelli. Il criterio è semplice, ed è l’unico che mi pare verosimile: dentro ci finiscono le canzoni fondamentali nel mio 2009, non del 2009. Voglio dire: molte di queste sono vecchie di anni, un paio nuove, altre non le avrei neppure sapute datare prima di dare una scorsa a Wikipedia. Sono canzoni italiane, straniere, di cantautori, cover, punkettone, sdolcinate, energetiche, spazza-anima. C’è di tutto insomma. Una raccolta di momenti tradotti in musica.

La lista, ovviamente, ha una spiegazione, che mi premuro di fornire; non può essere una spiegazione razionale, come del tutto evidente. E, d’altra parte, prima di prendere in mano le canzoni una a una, ci tengo solo a precisare che non c’è alcuna graduatoria, eccezione fatta per la prima classificata. Fake plastic trees è la mia canzone dell’anno, e se oggi potessi portare una sola canzone su un’isola deserta con me, bè, sarebbe quella.

Fake plastic trees (Radiohead, 1995). Dentro c’è un mondo intero. Giocattoli cinesi, ambienti stretti, colori fluo, notti insonni, una sensualità urlata, dolore che si fa materia. L’ho ascoltata credo almeno 3 volte ogni giorno del 2009.

Bette Davis eyes (Kim Carnes, 1981). Sublimazione dell’energia. Benessere, tonicità, presura bene. Un week end in campeggio in Valsesia, lunghissime notti d’estate, tra il Beppo e il portone di casa mia. Le urla della mia vicina alle sei di mattina quella volta che proprio, proprio, proprio abbiamo esagerato.

The man in me (Bob Dylan, 1970). Quel Lalalalala-lalalala-lalalaa dice tutto. Un classico di sempre: inizia la canzone e io e Renatino inziamo a gridare il lalalalala come i pazzi. Cantiamo la prima strofa a squarciagola, poi basta. L’obiettivo del 2010 è imparare anche la seconda.

I gotta feeling (Black Eyes Peas, 2009). A parte quel video incredibile girato a Chicago (si sussurra che ci sia la mano dell’amico Furnari sotto), c’è poco da dire: è la canzone della presura bene, del pompa il canotto, di quando non smetti più di saltare ballare bere ridere.

Meraviglioso (Domenico Modugno, 1967). Meraviglioso perfino il tuo dolore/potrà apparire poi meraviglioso/Ma guarda intorno a te/che doni ti hanno fatto/ti hanno inventato il mare/Tu dici non ho niente/Ti sembra niente il sole/La vita/l’amore. C’è bisogno di aggiungere altro?

Per dimenticare (Zero Assoluto, 2009). C’è quel motivetto lì, che ti si pianta in testa e fa allegria. E poi dentro c’è anche una storiella che in fin dei conti è stata sempre più vera con l’avanzare di un’estate in cui mai una volta ho pensato di avere quasi 30 anni.

Human (The Killers, 2008). Uno dei testi più demenziali che si siano letti, ma con un’energia complessiva che ho usato come doping mentre imparavo a correre, giorno dopo giorno. Pump up the volume.

Me and Bobby Mc Gee (Janis Joplin, 1970). Freedom is just anothe word for nothin left to loose. Ho provato a farlo capire a una persona cui ho voluto bene, ma non ha funzionato. La canzone, comunque, resta imprescindibile.

Man on the moon (Rem, 1993). Andy Kaufman e lo spirito Dada. La teoria dello spariglio. Tutto e il contrario di tutto, per sentirsi sempre leggeri. È possibile, if you believe they put a man on the moon.

L.p.nc. (feat. A.M, 1998?). L.p.n.c., ovvero la pizza nel culo. Un caposaldo della nostra estate, un faro guida, un modo di essere. Come quella notte di Ferragosto in cui credevamo di essere a Laguna Blu e, mentre  facevamo il bagno nudi come mamma ci ha fatto nell’oscurità totale, qualcuno ci ha rubato tutto quello che possedevamo. Ode, inno, momento iniziatico.

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