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Indignation
Il lascito culturale dei miei ultimi mesi di vita è racchiuso in un libro di Philip Roth, una sorta di compendio delle psicopatologie del Maschio nell’arco di età sommariamente compreso tra i 20 e i 50 anni. Il professore del desiderio – questo il nome dello scritto – è un romanzo agile e divertente, dall’ironia spigolosa, che inserirei senza esitazioni affianco al Giovane Holden e a Confessioni di un clown tra i testi consigliati per l’educazione sentimentale delle adolescenti. La rassegna impietosa delle debolezze di uomini giovani e meno giovani, il turbinio di pensieri che spesso ne offuscano la ragionevolezza, l’animalità prorompente e la coazione a ripetere di errori e modelli – tutto di presumibile ispirazione autobiografica, il che solleva Roth e la sua pregevole sincerità introspettiva in cima alle mie simpatie e preferenze letterarie – rispondono peraltro in modo abbastanza puntuale a quello in cui sono incappata nell’anno appena trascorso ed è quindi, in qualche misura, confortante.
L’amico che me ne ha parlato, in cerca di un equilibrio inafferrabile e verso il quale nutro la massima stima, nel citarlo ha commentato “E’ molto bello ma un po’ maschilista, non so se lo consiglierei a una donna”. Quanto bastava insomma perché la mattina successiva fossi in Feltrinelli ad acquistarne una copia, essendo io stessa alla ricerca di qualche non facile spiegazione (o, meglio, di un breviario per la comprensione dell’altro sesso).
Eppure, non ho trovato il libro maschilista. Credo sia piuttosto semplicemente maschile, nel senso di concentrato sul maschio e sul suo desiderio e pensiero, con gli atteggiamenti che ne derivano, ivi inclusi una serie sbalorditiva di errori e frane psicologiche. Tanto da indurmi a una successiva riflessione sul genere femminile, non proprio rincuorante. Se gli uomini che ci si presentano sono infatti privi spesso di coerenza – tanto per soffermarsi su uno dei molti aspetti – noi donne non siamo molto meglio. Ho amiche di ogni tipo – dalla quarantenne che ha sfondato nell’editoria a quelle che fin da giovanissime hanno devoto la propria esistenza al fidanzato, dalle madri ossessionate dai pargoli alle globe trotter che hanno girato il mondo per poi tornare al punto di partenza (cfr. La Noia, Vasco Rossi, 1982), dalle single incallite lanciate in carriera a quelle che saltano da una relazione all’altra – e praticamente nessuna si alza la mattina tranquilla. Sfuggono alla regola, andando a memoria, solo due gloriosi casi, verso i quali provo grande invidia (una delle due è sposata con una rockstar e madre di una piccola meraviglia; l’altra sta leggendo di certo queste righe, e chissà se si riconoscerà nelle eccezioni). Tutte le altre, tutte, si svegliano alla mattina con una qualche insoddisfazione contro cui lottano tenacemente fino a soccombere ogni sera; che si tratti del lavoro, dell’aspetto fisico, delle beghe con il fidanzato, della voglia di emigrare, della paura di comprare casa o di qualche altra inezia moltiplicata all’infinito (in alcuni casi, per esempio il mio, di tutte queste e molte altre messe insieme), una pallina di malessere gira impazzita nello stomaco, con un pericolosissimo effetto a valanga pronto a detonare senza spiegazione apparente.
Mi chiedevo allora cosa può uscire di buono da questa miscela esplosiva. Uomini che spesso hanno paura di esserlo e donne perennemente insoddisfatte. È quasi impossibile che le cose girino bene o mi manca solo un po’ di ottimismo? Intanto, per non smentire la mia totale incoerenza, un gesto di affetto sbirciato di soppiatto al bar stamattina mi ha provocato qualche lacrimuccia di commozione.