Archive for category gea and the city
diceva quello saggio
Posted by gea in gea and the city, musica on May 13, 2011
Bene, se mi dici che ci trovi anche dei fiori in questa storia, sono tuoi.
miseria umana
Posted by gea in gea and the city on May 7, 2011
La mediocrità politica, l’incapacità strategica e, soprattutto, la miseria umana della classe politica occidentale è angosciante.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è riuscito nemmeno ad accordarsi su una dichiarazione contro Bashar Assad, presidente siriano. L’Europa ha varato sanzioni ma non contro di lui. Gli Stati Uniti hanno deciso di non toccarlo.
Cazzo, ma almeno fate finta. Almeno.
epifanie
Posted by gea in gea and the city, giornali e dintorni on May 2, 2011
C’è un momento nella vita in cui capisci che non sei più uno che di mestiere fa il giornalista. Sei un giornalista. Tutto lì.
E’ un momento bellissimo. Se solo qualche anno fa avessi saputo che sarebbe arrivata una sera in cui alle nove il direttore mi avrebbe detto, C‘è da scrivere un editoriale e lo scrivi tu, forse non ci avrei creduto.
Ma succede. E in quel momento vita e professione diventano la stessa cosa. Non è solo che non esistono più orari, che alle sei della mattina il direttore ti sta snocciolando al telefono una serie di interviste da fare come se fossero le 16 mentre sei ancora in camicia da notte con la caffettiera in mano, che esci a cena con i colleghi alle 23 e vai a letto alle due e dormi sempre di meno e ti sembra che dormire serva sempre a meno. E’ lo sguardo che hai sul mondo che cambia. Perché è come se avessi messo un filtro, la tua soglia di consapevolezza diventa così alta che devi schivare i colpi di quello che ti sta intorno.
Non è più Obama che parla alla televisione: è l’attimo in cui cerchi di capire cosa succederà da qui a 20 anni. E poi provi a dirlo agli altri.
Mica sempre ci si riesce; ma tentarci ci si tenta sempre.
E non esistono più vacanze, spiagge, gite a Londra, persone conosciute in aeroporto e cautele. C’è un desiderio di osservare che ti mangia dentro.
Detto così può sembrare un incubo. In effetti è dura. Ma è una figata pazzesca.
bad news is good news
Posted by gea in gea and the city on May 2, 2011
Il mio primo giorno ufficiale da capo degli esteri ammazzano Bin Laden.
Non male.
step by step
Posted by gea in gea and the city, giornali e dintorni on April 20, 2011
Qualsiasi cosa significhi, soprattutto per il mio già esiguo monte ore di sonno settimanale, mi hanno promosso a capo degli esteri del giornale. Vado in Marocco a brindarci su (e le previsioni danno pioggia: quante volte succede a Fès in un secolo?).
Bene/male
Posted by gea in gea and the city on March 29, 2011
Motivi per stare bene.
Ho mangiato delle prugne buonissime che sanno d’estate, le giornate sono meravigliosamente lunghe, a Milano resiste il sole, venerdì ho passato un pomeriggio bellissimo con Ben Harper, ho comprato due biglietti aerei per posti dove volevo andare.
Motivi per stare male.
I legamenti della mia caviglia sono rotti. Se ne sono accorti, con la consueta presenza di spirito, solo perché io ho insistito che qualcosa non andava, visto che dopo un mese non riuscivo ancora a camminare. Forse non si possono operare e resteranno rotti, e comunque mi costerà un migliaio di euro l’intera cosa, e nella stagione più bella dell’anno non riesco a correre nemmeno un giorno. E la moto forse resterà in garage finché non sarò guarita: mesi.
La primavera mi sballa gli ormoni, o forse ho la testa sballata a prescindere dalla primavera, ma comunque mi viene da piangere in continuazione: dal medico per la caviglia, in riunione di redazione perché non posso partire per la Tunisia, mentre leggo il giornale per i profughi.
Sto ammattendo, porca miseria.
Ho un po’ di domande
Posted by gea in gea and the city, politica e dintorni on March 27, 2011
Ma se uno è disposto a spendere tutto quello che ha, a rischiare la propria pelle, quella della propria famiglia e persino quella del bambino che porta in grembo, per attraversare il Mediterraneo e venire in Italia, come si fa a pensare di rimandarlo indietro?
Non è abbastanza per capire che “indietro” non c’è vita né futuro? Se uno avesse alternative, sceglierebbe di abbandonare tutto per venire qui e poi magari rimanere detenuto in galere altrimenti chiamate per mesi?
E, ancora, il fatto che il tappo nord africano sia saltato e l’ondata migratoria stia ingrossando di ora in ora non significa forse che fino a ieri abbiamo confinato questi migranti in un posto di morte? Dal quale hanno iniziato a scappare non appena possibile?
E possibile che un Paese come l’Italia che tollera la mafia, la ‘ndrangheta, la corruzione, i baby killer, il lavoro nero non riesca a gestire qualche migliaia di persone? Cosa spaventa la famiglia piccolo borghese, medio borghese e aristocratica: che i tunisini rubino loro il lavoro che non vogliono fare? Che gli sposino le figlie? Che preghino Allah mentre il papa recita l’Angelus?
E l’Europa, l’Europa della libera circolazione delle merci, come pensa di avere alcuna autorevolezza finché non rende liberi di circolare gli uomini? L’Europa pronta a far entrare nel suo circolo la Turchia – quattrini, controllo, sponda a est – ma spaventata dai ben più vicini tunisini, non si vergogna almeno un po’?
noi, provinciali dell’Orsa minore
Posted by gea in gea and the city, politica e dintorni on March 9, 2011
Ho già avuto modo di dire – forse non qua, ma chi legge quello che scrivo sui giornali se ne è reso conto – di quanto sia cresciuto negli ultimi tempi il mio afflato socialista. Paradossalmente, più capisco e studio cose economiche, e più la repulsione verso tutto il sistema cresce. C’è un movimento, che si chiama decrescita, di cui mi sto occupando molto. Poi c’è l’economia ecologista, che forse è ancora meglio, perché più immediata: la concretezza è il problema di ogni rivoluzione che si rispetti.
In ogni caso, senza farla troppo lunga, stamane stavo leggendo questo estratto di intervista a Mandred Max-Neef, economista cileno, e mi sono venuti i lacrimoni. Può essere che, tra i 31 anni appena compiuti e la caviglia sfasciata, abbia un po’ gli ormoni sballati. Ma secondo me commuove anche voi.
I worked for about ten years in areas of extreme poverty in the Sierras, in the jungle and urban areas of Latin America. And one day at the beginning of that period I found myself in an Indian village in the Sierra in Peru. It was an ugly day. It had been raining all day. And I was standing in the slum. And across from me, a guy was standing in the mud – not in the slum, in the mud. He was a short guy … thin, hungry, jobless, five kids, a wife and a grandmother. And I was the fine economist from Berkeley. As we looked at each other, I suddenly realized that I had nothing coherent to say to that man in those circumstances, that my whole language as an economist was absolutely useless. Should I tell him that he should be happy because the GDP had grown five percent or something? Everything felt absurd. Economists study and analyze poverty in their nice offices, they have all the statistics, they make all the models and are convinced they know everything. But they don’t understand poverty.
I live in the south of Chile in the deep south. And that area is known for its milk production. Top technologically, and in every way the best there is. A few months ago I was in a hotel there for breakfast, and there were these little butter things. I looked at one. It was butter from New Zealand. And I thought, isn’t that crazy? Why? The answer is because economists don’t know how to calculate true costs. To bring butter from 10,000 kilometers to a place where you already make the best butter, under the argument that it is cheaper, is a colossal stupidity. They don’t take into consideration the environmental impact of 10,000 kilometers of transport. And part of the reason it’s cheaper is because it’s subsidized. So it’s clearly a case in which the prices do not tell the truth. It’s all tricks. And those tricks do colossal harm. If you bring consumption closer to production, you will eat better, you will have better food, you will know where it comes from and you may even know the person who produces it. You will humanize consumption. But the way economics is practiced today is totally dehumanized.
We need cultured economists, economists who know the history, where the ideas come from, how the ideas originated, who did what; an economics that understands itself very clearly as a subsystem of the larger system of the biosphere. Today’s economists know nothing about ecosystems, nothing about thermodynamics, nothing about biodiversity – they are totally ignorant in those respects. And I don’t see what harm it would do to an economist to know that if the beasts and nature disappear, he would disappear as well because there wouldn’t be food to eat. But today’s economists don’t know that we depend absolutely on nature. For them, nature is a subsystem of oureconomy. It’s absolutely crazy!
dei dolori e delle pene
Posted by gea in gea and the city on March 6, 2011
Quindi ieri ero sdraiata sul lettino del radiografo con i lacrimoni agli angoli degli occhi e la mano in bocca per non frignare per il male – referto: slogatura e tumefazione del tessuto malleolare – e quest’omone grande e grosso ha iniziato: Ma quindi lei si occupa di estero? Chissà quanto lavoro in questi giorni. E poi, i debiti internazionali, la crisi. Ecco, la crisi… Volevo chiederle: ma è vero che la Bce alza i tassi? Dice di sì eh. Ma fa un’unica botta o un rialzo lento come due anni fa la discesa? E’ sicura sicura? Ma poi li fanno scendere di nuovo? Mi faccia una stima di quanto potrebbero salire: oltre lo 0.5? Però la Fed si muove al contrario. No, mi scusi, ma sa, ho un mutuo a tasso variabile, mi ero sempre vantato di non averlo cambiato, però ora non so più cosa fare…
Sono una persona orribile/1
Posted by gea in gea and the city on March 4, 2011
Se credessi in Dio avrei delle cose terribili da dirgli.