Archive for category gea and the city

Postilla

Poi, siccome anche le persone orribili hanno un cuore, e credo che al mondo non esista nessuno più umorale di me, voglio anche dirvi che qualsiasi serata storta si aggiusta ascoltando la canzone adatta e andando a trovare una pletora di amici gaii in un condominio almodovariano un po’ fuori mano. Specie se sudano copiosamente, indossano camicie sgargianti, sventagliano fogli di carta sbuffando e ti raccontano le loro ultime vicissitudini amorose. Che, va da sé, tu in confronto sei Maria Goretti.

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Sono una persona orribile/3,4,5,6,7 e qualcosina in più

Partiamo dalla fine. Ci sono serate come questa, in cui entro in casa alle 23 – e la casa, oltretutto, è tremendamente simile a un campo profughi, e lo sarà fino a quando la donna delle pulizie non torna dalle ferie; peccato che potrebbe non tornare mai, visto che mi ha chiesto un lauto anticipo per andare in Perù – in cui mi chiedo perché al posto di farmi studiare, girare il mondo, imparare le lingue e tutte queste baggianate per intellettuali, i miei non mi abbiano messo nel taschino la regola aurea: “Sposa un miliardario” (copyright Berlusconi).
Ovviamente è un pensiero inutile, perché è del tutto evidente che sposarsi è una cosa che non fa per me: ogni volta che ho sfiorato l’idea sono scappata; e se per caso non sono scappata io, se ne è andato lui. Senza dire, poi, che in ogni famiglia deve esserci almeno uno senza il becco di un quattrino, ed è cristallino – quantomeno nella dichiarazione dei redditi – che il destino abbia pescato me per il ruolo.
Quindi, diciamo che non potendo sposare uno ricco e non sapendo fare assolutamente nulla, sono diventata giornalaia (si ringrazia per la sintesi perfetta mio nipote 5enne).
La cosa mi porta oggi a nutrirmi quasi unicamente di torta al cioccolato – se trovate una che alle 23 si mette ai fornelli ditemelo e vado a ripetizioni di stile – e poi a pensare che  buttare giù un elenco ragionato dei propri difetti potrebbe adiuvare una improbabile redenzione dal casino in cui vivo.
Dunque, l’elenco. Sono una persona orribile basterebbe per tutto, ma è troppo semplice, ancorché esaustivo.
Allora andiamo con ordine. Non di importanza ma di recenti incazzature con me stessa.
Sono una dannata impulsiva. E istintiva. E no, non sto barando, non sto vendendo dei pregi mascherandoli come difetti. Sono difetti belli e buoni. E parecchio grandi.
Anche se posso fare valere le attenuanti generiche. Per esempio che sono trasparente come una radiografia (purtroppo non ugualmente sottile), e quindi se faccio una stupidaggine non provo a far finta di niente. Al più cerco di spiegare che non avevo cattive intenzioni; ma di quelle buone sono già pieni i libri di storia (e comunque la gente non ti crede mai).
Il corollario di questo modo di essere è che più mi sforzo di seguire un tracciato che non condivido e più rischio di fare un bottone colossale. Più o meno lo stesso con cui, ad anni alterni, lascio case, fidanzati, famigliari, impieghi e via discorrendo. Trovandomi senza un tetto sulla testa e in disoccupazione. E con parecchie maledizioni vudoo da smaltire.
Ma, va da sé, sono minuzie: un cornetto acquistato a Napoli fa miracoli. Peggio è quello che bisogna buttarci sopra. Una grandinata di insicurezza. Una spolverata di impazienza. E raffiche di ambizione che fanno barcollare.
Poi c’è la frustrazione di quando le cose non vanno come voglio io, che diventa frustrazione logaritmica se non sono nemmeno riuscita a spiegare come avrei voluto che fossero.
Perché, oltretutto, la mia autoritarietà è zero. Detesto chi esercita il potere tanto per, e non sono nemmeno capace di imitarlo.
L’unico su cui ho una qualche autorevolezza è mio nipote, ma solo perché a cena, dopo due ore di discussioni su cause e magistrati tra i suoi genitori, sono sempre io a uscirmene stentorea: “Il bambino si annoia, se parlate solo di lavoro”. In realtà sono io a frantumarmi i maroni, ma comunque agli occhi del piccolo acquisisco una certa brillantezza.
Infine di me si può dire che sono troppo istintiva per essere furba. E, infatti, parlo: dico le cose come mi vengono. Troppo. Troppe.
Trentuno anni e milioni di inciampi non mi hanno insegnato a essere cauta. Attendista. Misurata.
No: quando nel mio cervello è suonato il campanello achtung, è già successo un disastro. E poi hai voglia a sistemare le cose con le buone intenzioni. Se la valanga ti ha travolto è tardi. Più o meno come con la torta al cioccolato che a questo punto ho finito e fra mezz’ora mi provocherà sensi di colpa per i prossimi cinque giorni.
Insomma. Sono certa che ci sarebbero mille altre cose  da dire. Tipo che ogni volta che voglio cucinare le seppie devo fare una foto con il telefono e mandarla a Chicco che mi risponde se sono già pulite o no, che non lavo i vetri di casa dal 2009, che ho della ceretta nel frigo, che rubo la pasta col pesto a mio nipote, che guido a scatti, che odio parlare al telefono se non con cinque persone in croce e spesso non rispondo apposta, che ho riiniziato a mangiare il formaggio nella pizza e molto altro ancora. Ma questo più o meno è l’essenziale per dipingere il quadro spregevole di me.
E se fossi una Barney appena un po’ più povera, o una Tibor appena meno colta, basterebbe domani a rendermi una persona migliore. O almeno ricca.
Tutto mi dice, invece, che domani sarò ancora una persona orribile. E senza il becco di un quattrino.

 

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Milano, 13 agosto 2011

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Alcune considerazioni liminari

1. Volere bene alla persona sbagliata è una gran rottura di scatole. Esserne consapevoli anche peggio.
2. Se un demente rischia di tirarti sotto sulle strisce pedonali, quasi certamente guida una Golf (da qualche anno vanno forte anche le A3, le Smart e le Mini Cooper, meglio se con autista provvisto/a di occhiali Carrera e cappellino di Luis Vuitton).
3. La Lonely Planet dovrebbe sentirsi moralmente tenuta a scrivere in quarta di copertina che a Milano, in estate, non ci si viene. Chiusi i locali, sbarrati i negozi, in vacanza le modelle: turisti, sù, sciamate da un’altra parte e lasciateci la città vuota almeno dieci giorni all’anno.
4. In via Vigevano oggi ho visto due donne velate. Per un istante, un secondo di pura gioia, mi è sembrato di essere ancora a Ramallah (d’altra parte, sono l’unica italiana rimasta nel quartiere e avevo appena corso dieci chilometri: la mancanza di lucidità è giustificabile). Ritornata al presente, ho comunque avuto un momento di felicità, illudendomi di vivere davvero in un posto multiculturale, e non nella sua versione glamour a uso degli alternowell del vicinato.
Il velo è una delle questioni su cui in Italia si consuma la più becera appropriazione indebita della religione da parte della politica strumentale, partigiana e ignorante. Ovviamente, in nome della libertà.

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summer on a solitary beach

Comunque sappiatelo che vi odio oggi, voi in vacanza, mentre i mercati mondiali crollano, Londra brucia e il jetleg emotivo mi spazza l’anima.
[ma da quando i giornali sono diventati sedute di psicanalisi?]

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Back in Milan

Quindi mi ha invitato a bere un aperitivo
Ma tu non ci sei andata
No
E perché?
Ma sai, ho aperto la sua pagina di Fb
E?
E nel profilo c’era scritto: veterinario, d’estate amo andare in montagna
Co-cosa?
Sì, giuro. Non è tremendo?
Tremendo, sì. Altro che aperitivo, bisognerebbe denunciarlo e togliergli il diritto di voto.  

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Saranno famosi

Imperdibile. Firmato: la stupida gallina
http://www.facebook.com/pages/per-chi-pensa-che-GEA-SCANCARELLO-sia-una-stupida-gallina/139436229465877

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to be or to have

Se avessi fegato, venderei il Monster  – che mi costa ogni estate in meccanico molto più di quanto valga – e comprerei una moto giapponese. Perfetta ed efficiente.
Se avessi fegato non avrei un’anima.

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Volevo essere una penna

Mi ha suonato il campanello Edo con in mano una coppa gigante di gelato al cioccolato. Ne abbiamo mangiata metà sul ballatoio e metà sul tavolino stretto della mia cucina, ricoperto di giornali, appunti, ritagli.
Fuori, il clima ricordava certe giornate all’Equatore, con l’umidità morbida ad avvolgere le cose. O anche alcune poesie settembrine di Eugenio Montale.
Siccome quest’anno niente è come è sempre stato, l’ho trovato bello. Ho impastato una torta e ascoltato Paolo Conte e Tom Waits. Ho letto e scritto, senza frenesia.
Poi con Edo abbiamo parlato del Nord Africa e di una partenza imminente. Dice che magari viene con me. Me lo sento già il direttore editoriale che risponde: «Guarda che non vai mica a bambanare». Ci metterò una vita a spiegargli che non bambaneremo. Poi lui ce ne metterà un’altra a spiegarmi come farò a tornare a casa e a riprendere a valutare le cose con gli stessi parametri del giorno prima di salire sull’aereo.
«Per lavorare in un giornale ci vuole una corazza sul cuore. L’importante è ricordarsi di togliersela quando si esce dalla redazione», mi ha detto l’altro giorno. Ma in Libia è più importante proteggersi il cuore o la pelle?

(frase della settimana, Andrea, ieri notte: Io volevo essere una penna. Invece sono una macchina. Le meraviglie del giornalismo).

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la revolucion

Mi mandano a Madrid a seguire la Tahrir spagnola.
Andare alla revolucion con la Cooked è un sogno che diventa realtà.

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diceva quello saggio/2

“Bionda vale la pena”.

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