Archive for category Dispacci
Rio-Bahia/Dispacci #1
Stavo per scrivere un post su come ho passato otto ore all’aeroporto di Rio trascinandomi da una coda all’altra e parlando un creolo anglo-italo-ispano-portoghese per capire se il mio aereo sarebbe mai partito (risposta standard: Aguarda, aspetta) e dove avessero spedito il mio zaino nel frattempo, ma poi sono in effetti arrivata a Bahia, che mi ha accolto con la festa del carmo e una roda di samba, e la bellezza stupefacente di questo posto e di questa gente mi ha lasciato totalmente disarmata e senza altre parole.
Un effetto così me lo aveva fatto solo New Orleans nella vita. E non deve essere un caso che siano stati i due centri nevralgici della tratta degli schiavi che qui hanno lasciato anima, cultura, musica.
Più Pelourinho per tutti.
Rio/Dispacci #11
Posted by gea in Dispacci, gea and the city, musica, personaggi, viaggi on April 13, 2014
Subtitle: Dov’è il Grande Gatsby?
Per non finire incasellati nello stereotipo “giornalisti europei che passano le loro giornate in favela”, rischio peraltro abbastanza recondito, ieri abbiamo accettato l’invito a un pool party ; meglio a una festa in piscina in magione coloniale circondata da foresta semi tropicale di proprietà di francesi – che l’avranno comprata per noccioline dieci anni fa – a due passi da casa nostra (due passi che ho percorso scalza, tanto per precisare).
Orario di inizio della festa fissato alle 14, ci siamo presentati alle 17: gli unici vestiti bene – anzi: vestiti tout court – dell’intero party. Ed è stato chiaro che non era il solito pacco quando hanno chiuso gli accessi dietro di noi, lasciando fuori stormi di americani calamitati dal loro habitat naturale: donne (ma anche uomini) con un filo tra le chiappe, petti depilati, ciambelloni di gomma in acqua, lattine di birre a bordo piscina. In altre parole: un video di 50 cents nel cuore di Rio.
Ci siamo avvicinati al bancone del bar senza indugi: Prendiamo due cahipirinha? No, facciamo subito quattro, dai. Perché lesinare, in effetti.
Poi in realtà ci è voluta mezz’ora solo per avere le prime due, che si è pur sempre a Rio, e il banchetto del bar era organizzato con sette persone: due a fare i cocktail, due a prendere gli ordini, tre a fare niente. In compenso la cahipirinha non era inserita tra i cocktail bensì tra le bebida insieme con la coca cola e il guaranà: una specie di dissetante naturale, insomma, come fosse acqua.
Alle 18.33, due bicchieroni di cachaca e lime dopo, ho estratto il telefono dal borsa convinta che fosse mezzanotte: ho guardato Gabri incredula, mentre ogni tipo di cicaleccio usciva dalla piscina e orde di ventenni limonavano durissimo in geometrie variabili (uomo-donna-uomo; uomo-donna-donna; donna-uomo-uomo). O ne beviamo subito un’altra o ci lanciamo anche noi in acqua…
Così, alle 18.40, vagamente alticci, sprezzanti dell’ultimo Tachiflu assunto a ora di pranzo e con un mio piede sanguinante – 24 ore dopo non mi è ancora chiaro cosa ho pestato per bucarmi il tallone, e probabilmente è meglio così – ci siamo tuffati in mezzo a stormi di ragazzetti, qualcuno con la metà esatta dei nostri anni, disinibiti ai confini della molestia.
Accanto a noi liceali in perizoma agitavano le chiappe scatenando tempeste ormonali, mentre la comunità omosessuale, in tanga e catenazze d’oro, squittiva sotto al dj.
Alle 20, quando secondo il nostro fuso orario dovevano essere ormai le 2 della mattina, è comparso il primo topless: vietatissimo qui, dove il moralismo impone la regola “anche una striscina, purché tappi il buco”.
Siamo andati a brindarci sopra con una terza cahipirinha, una sorta di bomba atomica di cachaca. Alle 21 un tizio interamente nudo e con un cappello in testa ha iniziato a girare tra la gente, intrattenendosi a chiacchierare qui e li come se fosse in smoking.
Un altro tale nel frattempo mi aveva detto che quell’enormità di casa non era di proprietà del Grande Gatsby, bensì di due francesi. E a furia di guardarsi intorno Gabri era convinto di averli trovati: Guarda sono quei due sicuro, hanno proprio la faccia da francesi e poi sono come noi, gli unici un po’ più vecchi e diversi dagli altri.
Erano così diversi che il tizio, ovviamente un brasiliano, ovviamente assolutamente non il proprietario di casa, in piedi su un lettino in stile Rimini ha insistito a tutti i costi che facessimo un selfie e che glielo inviassi dal mio telefono, benché ne avesse fatto uno uguale anche lui (si sospetta che volesse avere i miei contatti per qualche giro losco, infatti mi ha già spedito una mail per sincerarsi di quanto stiamo a Rio).
Alla fine, quando anche la 18enne con le mutande bianche bordate di pizzo e un culo che nemmeno se lo avesse scolpito il Canova era sparita dalla vista, ci siamo levati di torno pure noi, con addosso il peso di una nottata brava importante. Erano le 22.
Rio/Dispacci #10
Posted by gea in Dispacci, gea and the city, viaggi on April 12, 2014
Un classico di sempre: Geolina dal parrucchiere per mulatti a spiegare come si fa una frangia.
Spesa complessiva, incluso ascolto della spiegazione: 10 reais, tre euro. Così, tanto per capire quando in Italia dicono: è caro sì, ma c’è la manodopera.
Rio/Dispacci #9
Posted by gea in Dispacci, gea and the city, viaggi on April 11, 2014
Appunti per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dei mezzi pubblici.
Oggi abbiamo impiegato più di due ore all’andata e al ritorno per fare 20 chilometri a tratta, su un autobus che andava alla velocità di un trattore, sostanzialmente alla stessa andatura delle persone che gli camminavano di fianco sul marciapiede, ma con la considerevole differenza che loro almeno godevano dei benefici del sole mentre dentro al bus c’erano 17 gradi a essere generosi e noi stavamo avvolti come insaccati in parei umidicci che fornivano un minimo di tepore.
Però ne è valsa la pena. Per dire, ho capito che se tutto va male posso riciclarmi come guida alpina: con il mio bel vestitino di lino bianco che per una strana casualità indosso sempre nei momenti meno opportuni – come il concerto dei Cure a Bagnoli: l’unica vestita di chiaro in ettari di terreno – ho arrampicato un picco di granito che a vederlo da fuori sembrava verticale, e mentre ci eravamo sopra anche peggio.
Ora sostanzialmente io non sento più le piante dei piedi e Gabri lamenta cedimenti alla coscia. Ma in fondo erano solo 4 ore e mezzo di pullman per 40 chilometri, che sarà mai.
Rio/Dispacci #8
Viaggio alla Madureira, quella Rio de Janiero che i turisti non vedranno mai, e magari nemmeno gli abitanti che non vengono dal morro, la collina.
A Santa Teresa, il quartiere nobile dove stiamo, la temperatura era alta ma sopportabile. Un’ora e un po’ di mezzi pubblici dopo, sbarcate nella terra di nessuno che avrebbe potuto essere appena fuori Bangkok o Karachi, a dimostrazione che la povertà ha la stessa faccia a tutte le latitudini, il cemento esalava un calore fetido e umido, che nell’arco di mezzo’ora mi aveva arricciato i capelli e tinto di grigio la maglietta.
Con Laura, la nostra amica argentina, abbiamo girato un po’ tra i negozi e i grandi magazzini in cui si riforniscono gli ambulanti della spiaggia, in cerca di qualche colpaccio e di un po’ di autenticità. Sul primo non scommetterei, ma la seconda è garantita nel biglietto della metro.
Tre ore dopo abbiamo deciso di rientrare in centro con il trenino dei pendolari, arrugginito e carico di una umanità che per la prima volta mi ha spaventato da quando sono arrivata in Brasile. Mi guardavo intorno, tra ragazzi sdraiati sulle panche arrugginite e venditori carichi di scatole e sacchi destinati chissà dove, stringendo la borsa un po’ più forte e sudando un po’ più del dovuto. Poi, dopo un paio di fermate, sono saliti dei ragazzini: il più piccolo avrà avuto 12 anni, la più grande 17. Gridavano e sbattevano l’uno contro l’altro, picchiavano contro le porte e i sedili, trascinando i piedi scalzi, vestiti troppo poco. Ho capito senza guardarli troppo, ché non era proprio il caso, che sono questi i famosi ragazzini distrutti dal crack, persi, totalmente fuori controllo, capaci di qualsiasi cosa per 100 reais o un telefonino. Mi sforzavo di concentrarmi su altro, spaventata come mai mi era successo qui, e di colpo gli altri seduti intorno a me mi sono sembrati piccoli borghesi di periferia che andavano al lavoro: se fosse stato un film, le casse piene di cianfrusaglie da vendere in spiaggia si sarebbero trasformate in valigette 24 ore, e le facce segnate dalla vita in sguardi assenti di lavoratori diligenti.
Anche la scala della miseria insomma sa essere logaritmica. E inizio a capire perché le favelas cittadine possono essere un posto ambito dove stare, rispetto alla terra di nessuno della periferia nord.
Rio/Dispacci #7
Poi ti chiedi qual è la differenza tra qualsiasi città al mondo e una in cui la giungla irrompe nel cemento e la natura si riprende i suoi spazi. Risposta fin troppo semplice: per esempio che a 200 metri dalla fermata del bus incappi in questi animali qui. E alla fine te ne vai tu, perché loro si sentono proprio a casa.
Rio/ Dispacci #fuoriserie
Posted by gea in Dispacci, giornali e dintorni, politica e dintorni on April 7, 2014
Alzarsi ogni mattina con il sole in fronte e la foresta a un passo; accendere internet per aggiornarsi sull’Italia e scoprire che Berlusconi avverte Renzi, Berlusconi rompe il patto, Berlusconi all’ospedale, Berlusconi è finito, Berlusconi ha paura.
A volte le cose sono questione di prospettiva; la mia è che se quella è politica, ne faccio serenamente a meno.
Rio/Dispacci #5
Posted by gea in Dispacci, gea and the city, viaggi on April 4, 2014
Non me ne capacito: Darwin mi deve una spiegazione. Perché dopo qualche giorno riesco a bere l’acqua del rubinetto, mi muovo in favela, parlo con chiunque e ho persino imparato a chiudere le porte dei taxi senza sbatterle – la cosa che li fa più imbestialire al mondo – ma per farmi muovermi a tempo di musica, qualunque essa sia, dovrebbero infilarmi un microchip gli alieni e telecomandarmi da Urano?
Ieri sera a Lapa matrone di 140 chili sembravano farfalle su tacchi a spillo, con il petto procace sodo come il marmo in un’unione mistica con le chiappe sopra le spalle, mentre io e i miei 51 chili di legno puro davano ginocchiate a un povero inconsapevole che si era offerto di farmi ballare. E non che non avessi assorbito cahipirinha a sufficienza a librare lo spirito; il corpo, tuttavia, me lo hanno imbalsamato precocemente.
Rio/Dispacci #4
Strani fenomeni di osmosi con l’ambiente: partito fotografo, si è trasformato in wife beater delle favelas (e ne va fiero).
Rio/ Dispacci #3
Posted by gea in Dispacci, politica e dintorni, viaggi on April 3, 2014
E quindi, Lula è stato un buon presidente?
Lula è arrivato che non aveva le scarpe, ora va in giro con quelle fatte a mano dagli italiani.
un tassista e il dono della sintesii