Archive for June 8th, 2010

Striscia quotidiana

E così venerdì mattina mi sveglio col cervello in manette, come in quella canzone di De Gregori che dopo tanti anni mi commuove ancora. (Cammino da sempre sopra i pezzi di vetro/e non ho mai capito come). Senza un motivo particolare, ma non per questo meno inesorabile. Infatti, mentre i pensieri iniziano ad arrampicarsi selvaggi lungo lo stomaco, la caffettiera si rovescia sui fornelli immacolati: un segnale chiarissimo.

Conoscendomi perfettamente, senza bisogno di aspettare oltre – e, per onor del vero, con due conferme preoccupanti: “Marte entra in opposizione“, su D dell’indomani, e smarrimento la sera precedente del cornetto portafortuna regalatomi da un taxista napoletano qualche mese fa – quaglio subito che è un giorno in cui stare alla larga da cose importanti: niente contatti di lavoro, niente consegne, minima progettazione di futuro. Unica speranza: salire in moto e allontanarsi dal mondo, possibilmente portando con me il Titto, mio nipote, l’unico con cui abbia voglia di interagire in questi casi. (Lo sa e ne approfitta: l’ultima volta mi ha fatto spendere 50 euro di gelati, patatine, torta, toast e succhi, di cui poi si stufava. Non solo ho dovuto ingollarmi tutto quello che mi faceva comprare e poi non voleva – giusto per non buttare proprio via i soldi – ma al ritorno a casa ha guardato suo padre ed esordito: Lo szai che fato pendere alla szia un sacco di soldi e non ho mangito niente?).

Insomma, fuga. E mi passano le ore mentre decido dove andare, che giro fare, se prendere la moto o andare in treno o trovare un passaggio da qualcuno diretto fuori Milano, cambio idea ogni cinque minuti, telefono e richiamo e poi chiamo una terza volta per dire che no, non vengo più, ma anzi forse sì, beh mi rifaccio viva, tu comunque tienimi un posto, perché anche capire se davvero ho voglia di guidare in autostrada o sdraiarmi al sole mi sembra difficile in un giorno così. Quando arrivano le tre e ancora mi sto aggirando come una pazza per casa, infilo due cose in una sacca, spengo il computer, mi dirigo alla porta. E in quel momento, come da copione, mi chiama il direttore: un lavoro superurgente nel weekend, in stampa il lunedì mattina.

Come non detto. (Poi, ovviamente, l’intervista sarà rimandata di mezz’ora in mezz’ora fino a collocarsi alla domenica sera, con scrittura notturna per andare in macchina alle sei; mentre il mio week end affossa nell’asfalto cedevole milanese).

Il venerdì scivola via senza ricordi. Il sabato se ne va tra parco e lavoro, in stato di semiautismo, mentre la temperatura sale pericolosamente. Il cervello non mi si scioglie del tutto ma migliora verso sabato notte, così  domenica prendo la moto per un giro. Città deserta, tangenziali vuote, testa sgombra, principi di benessere. Poi, un botto, come uno sparo. Mi fischiano i timpani. Fumo, tanto fumo, puzza di bruciato. E tutto arriva da me: da sotto la mia sella per essere precisi. Mi ci vuole un minuto a realizzarlo, mentre vedo liquido che sgorga dal carter, scivola sul telaio, mi pizzica le gambe, fa grosse chiazze sull’asfalto. Quando finalmente capisco – non cosa è successo, figuriamoci, ma che qualcosa è sucesso – accosto, spengo, scendo.

Guardo la moto che continua a fumare, incredula. Un tizio su una Triumph si ferma: “Ce l’hai un telefono?“. “Si”. “Allora chiama il carroatrezzi e non riaccendere che grippi il motore”. Si ferma un altro tizio, su un Bmw Gs: “Riesci a spostarla dalla careggiata?” “Ehm, se mi aiuti è meglio”. Me la spinge fino al marciapiede più vicino, guarda il liquido: “Secondo me è la guarnizione dell’olio che è saltata, ma questo che esce non sembra olio”. “Beh, acqua non può essere, è raffreddata ad aria”, riesco a farfugliare mentre prego silenziosamente tutti i santi che i pistoni si muovano ancora – se si muovono il motore non è grippato, almeno quello – ma non ho il coraggio di controllare.

Il tizio della Bmw se ne va e io mi siedo sul cemento a cento gradi, sotto la canicola. Il meccanico mi risponde al decimo squillo, con ogni probabilità è ancora a letto. “Gea, sono fuori Milano. Spegni tutto, legala e domani la vado a prendere”. Chiamo Francesco, una sicurezza. Sta preparando l’arrosto per pranzo, è reperibile e in lotta con la lavatrice che saltella in cucina. “Fra, mi vieni a prendere? E’ successo un casino”. Dopo trenta minuti sono ancora lì. “Fra, dove sei? “. “Emergenza sul lavoro, sono fermo in mezzo alla strada in una conference call con degli spagnoli: in sottofondo c’è qualcuno che ascolta una roba cassadritta che fa tipo Yo soy loco! Appena riesco a mettere giù arrivo“.

Con una calma quasi zen mi viene persino da ridere, a pensare a me qui per terra e a lui fermo davanti a Cadorna con degli spagnoli che gli parlano di server mentre è in scooter con il casco addosso, i tram che lo sfiorano a destra e sinistra e Yo soy loco in sottofondo. Poi diventa troppo caldo anche per sorridere, e la moto che non smette di fumare mi spegne definitivamente il buonumore. All’intervista ci arrivo che puzzo ancora di benzina, olio, catrame e disperazione; passiamo metà del tempo a parlare di come recuperare un motore grippato.

Oggi mi chiama il meccanico: “Ho una buona notizia e una brutta, quale vuoi?”. “Quella buona”. “Ho recuperato la moto”. “Ah, è una notizia? Va bene, dammi quella brutta”. “Non è l’olio, ma la batteria. Esplosa. Impianto elettrico in tilt. Mai vista una cosa così; se non fossi stata ferma al semaforo potevi farti male”. “Ah, allora facciamo che la mia salvezza è la notizia buona. Dammi il resto delle brutte”. “Il liquido che usciva non era olio, ma acido. Ha corroso carter e carena. Poi bisogna trovare il problema all’impianto elettrico, e non è semplice”. “Gianni, dammi un prezzo indicativo, un ordine di grandezza”. “Mhhhm. Gea, vai a bere una birra. Poi vieni qui e ne parliamo”.

[“A volte credo che dovresti vendere i filmini della tua vita: potresti avere uno spazio tutto tuo in fascia preserale, tipo Benny Hill, per intenderci”. Un amico, oggi].

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